di Daniela Zanuso
Una giornata istituita per conservare la memoria di una tragedia che è stata per troppo tempo coperta dal silenzio.
Una pagina di storia taciuta per sessant’anni e ancora poco conosciuta, dedicata alle 10 mila vittime italiane , uomini, donne, anziani e bambini, che fra il ‘43 e il ‘47 furono deportati, uccisi o gettati ancora vivi dentro le foibe, voragini naturali di cui è pieno l’altipiano del Carso. Le stragi cominciarono all’indomani dell’8 settembre del ’43, giorno dell’armistizio.
Ma non fu solo la tragedia delle foibe, fu anche la tragedia dei profughi istriani, giuliani e dalmati: 350 mila deportati o costretti a lasciare le loro terre, le loro case, i loro beni, per fuggire con ogni mezzo dall’Italia. Unica colpa: essere italiani o anticomunisti e quindi considerati dalle milizie partigiane del maresciallo Tito, “nemici del popolo”.
Nella città di Trieste e nell’Istria, furono gli anni dell’incubo, fino a quel 10 febbraio 1947 in cui fu deciso, con il trattato di pace, che le provincie di Fiume, Pola, Zara e parte delle zone di Gorizia e di Trieste sarebbero passate alla Jugoslavia. La legge che ha istituito il “Giorno del ricordo” fu approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento italiano il 16 marzo 2004: a favore votarono tutti i gruppi parlamentari, ad eccezione di circa una ventina fra deputati e senatori appartenenti alla sinistra.
Quell’orrore che ha colpito migliaia di innocenti non riguarda solo i massacri delle foibe dove fu occultata una minima parte delle vittime. La maggior parte perse la vita nelle prigioni, nei campi di concentramento iugoslavi, o nelle marce di trasferimento.