Hosni Mubarak si dimette dopo 30 anni di regime

egitto 1“Un uomo ha cambiato il mondo: il suo nome è Mohamed Bouazizi, e non è eccessivo affermare che il suo gesto ha impresso una svolta alla storia araba. Il 17 dicembre del 2010 Mohamed si è dato fuoco a Sidi Bouzid per protestare contro la confisca delle sue merci e il ritiro della licenza. Ancora oggi rimane l’interrogativo: «Se Bouazizi non avesse compiuto quel gesto estremo, sarebbero scoppiate le rivoluzioni arabe?» Non lo sapremo mai. Quel che è certo, è che dalle strade di Tunisi un lamento si è alzato al cielo; un grido di libertà si è fatto sentire sino alle strade delle capitali arabe. Quel ragazzo ha cambiato la nostra storia moderna. […]

Credo che il metro di paragone non possa essere che la Rivoluzione del 1789 che infiammò le strade di Parigi. Vedo i nuovi parigini negli egiziani, nei tunisini, nei libici, nei siriani, negli yemeniti… in tutti gli arabi che hanno affrontato e affrontano le Bastiglie del potere autoritario dei loro Paesi. Tutti gli arabi –ma anche gli occidentali- devono vigilare perché a questo momento di liberazione non segua una restaurazione” (Shady Hamadi, La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana, Add Editore, 2013).

Toccanti le parole di Shady Hamadi, italo-siriano, attivista e testimone della situazione che da Tunisi si è propagata sino a Damasco, nella sua capitale. Parole che riassumono in modo simbolico e rappresentativo quello che è stata –ed è tutt’ora- questa lunga Primavera Araba. Bouazizi forse non ebbe la consapevolezza politica di Iam Palach.

Ma il suo gesto ebbe la forza di essere la goccia che fece traboccare quel vaso colmo di ingiustizie del paese retto da un trentennio dal presidente Ben Ali. E non solo. Il meccanismo innescato dalla sua protesta fu a quel punto irreversibile: Ben Ali, Mubarak, Gheddafi, Saleh, i tiranni, con l’eccezione di Assad, caddero uno dopo l’altro. Ed era l’11 febbraio del 2011 quando Hosni Mubarak, dopo intense trattative tra le diplomazie e un braccio di ferro tra le opposizioni e il governo che apparivano senza esito, rassegnò le sue dimissioni.

“Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l’Egitto sta attraversando, il Presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire la situazione del Paese. Che Dio ci aiuti”: si pronunciava il vice presidente Omar Suleyman, in un intervento televisivo. E così, un tripudio di bandiere inondava Piazza Tahrir. Da un lampione penzolava un fantoccio.

Le forze armate giravano tra la gente, tra grida di giubilo e gesti di vittoria. Una transizione improvvisa, a tratti inaspettata, nata in seguito alle manifestazioni –inizialmente pacifiche- del 25 gennaio dello stesso anno. Venticinquemila manifestanti, la maggior parte giovani, scesero in piazza con la richiesta di riforme politiche e sociali.

Le rivolte, giorno dopo giorno, si intensificarono, le richieste si fecero sempre più stringenti e Mubarak fu messo alla strette. Intanto, l’Occidente portava avanti una politica ambigua, con accordi tra le parti, nella convinzione che la fine del regime egiziano potesse divenire foriera di una forte destabilizzazione per l’intero quadro politico del Nord Africa.

Ma era l’ora della fine “di quei 29 anni di leggi d’emergenza, di quel presidente con un potere imperiale, di quel Parlamento che era quasi una beffa, di quella magistratura che nulla aveva di indipendente”, dichiarava Muhammad al-Barade’i. Sono passati mesi, anni ma la situazione è ancora monopolizzata dalla violenza e dalla forte instabilità. E noi siamo testimoni della storia, di questa rivoluzione che chiede libertà.

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