di Camilla Mantegazza
Fondatore dell’ononima casa editrice, attivista e militante di sinistra. Mauro Monni, portando in scena la sua vita, lo definì il “milionario anarchico”: nessun epiteto avrebbe potuto riassumere meglio la vita di Giangiacomo Feltrinelli, con i suoi paradossi, i suoi lati oscuri e le sue fitte zone d’ombra.
Una vita agiata, una vita spesa nel tentativo di sventare quel colpo di stato fascista che mai avvenne. Ma Giangiacomo ne era certo: prima o poi sarebbe accaduto. Così, sin dalla fine della II Guerra Mondiale, la sua azione fu orientata verso la militanza di sinistra. Si comincia nel 1945, con l’iscrizione al PCI e gli ingenti finanziamenti al partito.
Nel 1948, in un Europa quanto mai devastata, iniziò a gettare i semi di quella che poi divenne la Fondazione Feltrinelli, raccogliendo documenti relativi ai movimenti operai, allargando la sfera a tutta la storia sociale d’Italia. Nel 1954 istituì la casa editrice che porta il suo nome, “rossa”, almeno allora, per eccellenza, pubblicando, come prima opera, l’autobiografia del Primo Ministro indiano Nehru. Il suo successo e la sua grandezza furono immediate: si pensi all’esclusiva del Dottor Zivago, che portò Pasternak verso il Premio Nobel, oppure a Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Dopodiché, l’estremizzazione, il sentirsi stretta l’azione del PCI, giudicato ormai inadeguato per condurre a quella lotta che dopo Piazza Fontana non sembrava più essere rimandabile. Una visita a Cuba, tra Che Guevara e Fidel Castro, per poi arrivare in Bolivia da Regis Debray, che nel paese latino viveva in clandestinità. Seguì un arresto, a seguito dell’intervento dei servizi segreti americani, che si risolse in nulla. Intanto, però, Fidel aveva affidato a Giangiacomo l’opera del Che, “Diario in Bolivia”, che divenne nell’immediato un best-seller della casa editrice.
Un’amicizia costruita sulla totale condivisione di ideali, quella con Che Guevara. Una rivoluzione possibile nell’isola americana, ma non attuabile in Italia, nonostante la Commissione Stragi portò alla luce a metà anni ’90 documenti che testimoniano il progetto di Feltrinelli di trasformare la Sardegna in una Cuba del Mediterraneo, analoga a quella dell’amico oltreoceano.
Si arriva così agli anni ’70. All’attività clandestina, ai GAP. Un organizzazione dalla vita breve, caduta insieme al suo fondatore, Giangiacomo Feltrinelli. Tra il ’70 e il ’71 i primi attentati dinarnitardi a scopo dimostrativo a Genova e a Milano, le prime azioni di disturbo via etere sulle reti radiofoniche e televisive. Iniziative clandestine che si inserivano in un quadro di azione politica internazionale che vedeva “le avanguardie armate del proletario” a fianco dei movimenti rivoluzionari e di liberazione del Terzo Mondo.
Un movimento inizialmente lontano dalle Br, nonostante un tentativo di comando unificato della lotta armata ci fu. Curcio, Franceschini passarono dalla vita di Giangiacomo, senza ombra di dubbio. Passarono di scorcio, per mancanza di tempo più che per differenziazione di obiettivi.
Giangiacomo Feltrinelli nacque il 19 giugno del 1926 a Feltre e il 15 marzo del 1972 il suo corpo venne rinvenuto senza vita nei pressi di Segrate, ai piedi di un traliccio dell’alta tensione dilaniato da un’esplosione.
Al momento della morte, le perizie accertarono che “era in buona salute, non era solo, non era drogato”. Era morto mentre progettava un gesto terroristico? “Molti non credettero a questa versione” si legge in una personale testimonianza di Enrico Deaglio riportata da Il Post. “E’ stato ucciso perché era un rivoluzionario che con pazienza e tenacia, superando abitudini, comportamenti, vizi, ereditati dall’ambiente alto-borghese da cui proveniva, s’era posto sul terreno della lotta armata, costruendo con i suoi compagni i primi nuclei di resistenza proletaria” scrisse Potere Operaio.
Sembra che Feltrinelli fosse salito sul traliccio dell’Enel per collocarvi una carica esplosiva e provocare un black out a Milano, come gesto di protesta nei confronti di quel congresso del Pci che portò Berlinguer a divenire segretario. Rimase vittima di un incidente sul lavoro. Incidente o omicidio? “Una ferita ignorata e una perizia mai pubblicata sollevano alcuni inquietanti dubbi” si legge sul Il Corriere.it, in un pezzo del 2012, scritto nel 40° anniversario dalla morte.
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