Sul piano internazionale il ’64 è segnato da due grandi eventi: da una parte gli Stati Uniti si fanno sempre più coinvolgere in una guerra, quella del Vietnam, che sarà causa di gravi perdite umane ed economiche, oltre che del grande sdegno della maggior parte dei paesi, compresi quelli appartenenti alla Nato, dall’altra l’allontanamento di Nikita Chruscev, allora leader dell’Unione Sovietica, frutto di una cospirazione da parte dei capi del partito.
In Italia, il 25 giugno di quell’anno per una manciata di voti cade il governo Moro. La questione è il finanziamento alle scuole private, ma è solo il pretesto per mandare a casa un governo che aveva preso provvedimenti che non piacevano né al centrosinistra né alla DC, con la conseguenza che si rischia il golpe.
Nonostante la crisi del ‘63 il cambiamento non si arresta; i mutamenti innescati nel periodo del boom economico, quello degli anni tra il ’59 e il ’63, hanno dato l’avvio all’esplosione dei consumi. Paradossalmente la crisi incoraggia l’iniziativa ed esplode l’artigianato, che riempie quel vuoto lasciato da un’industria sorda alle richieste di beni di consumo. Anche i bottegai intraprendenti si organizzano e si aprono i primi piccoli supermercati.
Ma i mutamenti più profondi sono nella cultura e nei costumi, mutamenti introdotti soprattutto da un nuovo soggetto sociale: i giovani.
I figli del dopoguerra sono i giovani di quegli anni che si trovano di fronte ad un mondo pieno di occasioni e di opportunità di cambiamento. Diversamente dai loro padri, che avevano vissuto la loro giovinezza tra gli orrori della guerra e si erano trovati poi, per necessità, proiettati nel duro periodo della ricostruzione fatto di sacrifici e privazioni, loro non hanno fretta di vivere, di divertirsi, di recuperare il tempo perduto.
Dall’America soffia il vento pacifista e Bob Dylan canta “The times they are changin” e “Blowin’ in the wind”, canzone che diventerà l’inno pacifista internazionale. Molti giovani imboccano quel cammino di presa di coscienza che si esprimerà completamente nel fenomeno dei “capelloni”: indossano jeans e camicie colorate, girano in Vespa e il luogo di incontro per eccellenza è il bar dove, intorno al juke-box, ascoltavano i Beatles, i Rolling Stones, gli Who o gli italiani Equipe 84, i Profeti, i Nomadi, i Giganti. I loro genitori invece preferiscono Gigliola Cinquetti che a Sanremo quell’anno vince con “Non ho l’età” o Bobby Solo che con “Una lacrima sul viso” raggiunge il traguardo, in soli due mesi, di un milione e mezzo di dischi venduti.
Il rock diventa il megafono di quella generazione: si canta contro la guerra in Vietnam e in generale contro tutte le guerre, a favore dei diritti civili, della rivoluzione cubana, e per un mondo libero dalle convenzioni e dalle restrizioni borghesi .
Uno slogan, scritto sui muri, sulle magliette, sulle spille, riassumeva bene il concetto: ”fate l’ amore e non la guerra”.
Daniela Zanuso