di Aldo Germani
Sta in una mano, gracile e minuta dentro una zero abbondante, il musino striato di rosso che si stropiccia in una buffa espressione. Pigola il suo lieve mugugno a occhi chiusi e sta lì, un pugnetto di ossa fragilmente tessute, che viene paura di mischiarle tra loro con un solo movimento sbagliato.
Non è figlia tua, non sei in totale adorazione di quella creatura, ma rimani comunque abbagliata da una tenerezza infinita. Sarà bella, tra qualche giorno ancora, ora è semplicemente uno stelo a cui è attaccata la vita: una regina indifesa, che pesa giusto l’aria che inspira, ma il cui soffio leggero è il lento avvio di un motore che, puoi scommetterci, muoverà le montagne.
Le guardi le dita, la miniatura in cui sono scolpite, la riduzione perfetta di ciò che in una scala più grande non cogli come grazioso per il solo torto di apparire normale. E invece di normale in quel corpicino non c’è niente: 2 kg e 30 grammi di neonata in totale abbandono, poggiata senza remore sulla tua mano aperta e vigile, che pare di tenere a galla un cucciolo capace forse addirittura di volare.
Ti han detto vuoi prenderla in braccio? Hai pensato ho paura di romperla. Ora che senza fatica le reggi la nuca non riesci a staccarle gli occhi di dosso, pura com’è con la sua prima manciata di istanti alle spalle. Conta i giorni come tu fai con gli anni e non ti sembra possibile che tutti si parta da lì, dallo stesso esile inizio, dal primo colpo di luce e dal primo istinto a voltarsi a cercare con un contatto la vita. Ti rabbui al pensiero che da grande non sarà meno fragile e si perderà nella stessa affannosa ricerca; poi pian piano invecchiando si ripiegherà fino a occupare sempre un po’ meno spazio, in una restituzione graduale alla terra di ciò che vi è appena nato. Alzi la testa e ti scuoti per non sporcare la piccola con l’ombra che ha incupito il tuo viso e sei di nuovo agganciata al presente, alla pienezza di quel corpo leggero, allo stupore del poco che hai tra le mani e del tanto di cui è capace. E trattieni il fiato: è commovente la vulnerabile grandezza di un fiore appena sbocciato.