“Oggi è promulgato lo Statuto dei Lavoratori. È la legge n. 300 che riguarda le Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” si legge sul Corriere della Sera di quel famoso mercoledì di maggio del 1970.
Sono passati 34 anni ma, ancora oggi, lo Statuto rappresenta il momento più importante della storia delle relazioni industriali del nostro paese. Un traguardo fondamentale, volto a regolare i rapporti tra imprenditori, lavoratori ed organizzazioni sindacali. Una normativa nata, non a caso, in quel momento della storia d’Italia noto come “autunno caldo”, acceso da mobilitazioni di studenti e di lavoratori, spartiacque della storia sociale e del costume di tutta la civiltà occidentale.
Un collegamento non negato da chi, a ragione, è stato considerato il padre stesso dello Statuto, Gino Giugni, che lo definì “il frutto di una felice congiunzione tra la cultura giuridica e il movimento di massa”: con la Statuto -si disse allora e poi- la Costituzione varcò i cancelli della fabbrica. A volere lo Statuto fu Giovanni Brodolini, socialista e ministro del Lavoro, che decise di affidare la commissione incaricata di redigere il testo a un allora docente universitario, Gino Giugni appunto. Brodolini non riuscì a vedere approvato dal Parlamento il frutto delle sue fatiche, poiché, pochi mesi prima del voto, fu stroncato da un tumore. Le redini del suo lavoro furono poi accolte da Carlo Donat Cattin, democristiano torinese.
Un testo osannato e decantato ma che a quei tempi fu fortemente criticato proprio dai sindacati e dai comunisti: la sinistra riteneva la legge restrittiva rispetto al dettato costituzionale e inadeguata a proteggere in modo efficace e costruttivo il mondo del lavoro. Così, il Pci, in sede di voto si astenne, “per sottolineare le serie lacune della legge e l’impegno a urgenti iniziative che rispecchino la realtà della fabbrica”, scrisse l’Unità il 15 maggio e aggiunse “il testo definitivo contiene carenze gravi e lascia ancora molte armi, sullo stesso piano giuridico, al padronato”. Insieme al Pci, si astennero il Msi e il Psiup. A favore si espressero Dc, Psi, liberali e repubblicani.
Il disegno dei socialisti aveva vinto. “Lo statuto dei lavoratori è legge”, strilla a tutta pagina la prima dell’Avanti! del 15 maggio. “Il provvedimento voluto dal compagno Giacomo Brodolini è stato definitivamente approvato”, recita l’occhiello. Nell’articolo si attacca “l’atteggiamento dei comunisti, ambiguo e chiaramente elettoralistico”, mentre l’articolo di fondo elogia “il riconoscimento esplicito di una nuova realtà che, dopo le grandi lotte d’autunno, nel vivo delle lotte per le riforme sociali, vede la classe lavoratrice all’offensiva, impegnata nella costruzione di una società più democratica”.
Nel 1970 la classe lavoratrice sembrava essere sull’offensiva. Oggi, quel poco che ne resta, è senza ombra di dubbio sulla difensiva.
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