di Camilla Mantegazza
In Corea del Sud viene spesso chiamata “6-25”, per ricordarne il fatidico giorno di inizio. In Corea del Nord la si denota come “Guerra patriottica di liberazione”. In Cina il conflitto è noto come “Guerra di resistenza all’America e in aiuto alla Corea”. Nel resto del mondo è semplicemente la “Guerra di Corea”, quella che dal 25 giugno del 1950 al 27 luglio del 1953 fece tremare il mondo, spostando il conflitto sino-americano nel sud est asiatico: il timore di una rottura di quell’ordine internazionale giocato sul precario equilibrio tra le due superpotenze, retto dalla paura del nucleare divenne, per la prima volta dopo la II Guerra Mondiale, palpabile.
Tanti la ricordano come una guerra sconosciuta, dimenticata, a causa della scarsa rilevanza mediatica che ricevette durante i mesi di fuoco. Eppure le sue conseguenze furono miliari per quanto riguarda le relazioni internazionali, oltre che devastanti se si procede con la conta delle vittime, con i danni causati dal fosforo bianco e con gli oltraggi recati alla popolazione civile, alle vie di comunicazioni, alle infrastrutture e quant’altro.
Una guerra che partiva da lontano, dopo la sconfitta del Giappone, quando le forze di occupazione americane e sovietiche avevano dato vita a due amministrazioni, che presto divennero due Repubbliche indipendenti, impegnate in scontri sul confine lungo il 38° parallelo. Kim Il Sung (in alto) a Nord, dittatore comunista. Syngman Rhee (in basso) a Sud, leader corrotto e autoritario filoccidentale.
Si incorse nell’errore che più volte, ciclicamente, si ripete nella storia: la convinzione di un rapido successo. Si prevedeva che Washington ne sarebbe rimasta fuori, il dittatore sovietico avrebbe fornito armi e consiglieri militari che Mao sarebbe stato pronto ad un intervento diretto in caso di difficoltà: così, Kim Il Sung procedette al tentativo di unificazione del paese, schiacciando le forze del Sud nel lembo meridionale della penisola con l’obiettivo di unificare le due parti.
Truman dispose subito l’invio di forze armate sul campo di battaglia e chiese, per la prima volta, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di autorizzarne l’intervento: l’assenza del delegato sovietico, che boicottava l’organizzazione per il mancato riconoscimento della Cina di Mao, consentì l’approvazione di una risoluzione che impegnava le Nazioni Unita in difesa della sovranità del Sud. Le truppe del dittatore comunista vennero fermate, le porte dell’indifesa Corea del Nord si spalancarono. Sottovalutate le potenzialità di Cina e Russia, ignorati i richiami alla prudenza di molti alleati, furono varcati i confini del Nord.
Un generale tentennamento, poi la reazione del Politburo di Pechino e l’arrivo a Seoul, capitale del Sud. Una serie di battaglie sanguinose finiva poi per stabilizzare il fronte intorno al 38° parallelo: i pericoli di smuovere la situazione erano troppo alti, troppe micce avrebbero potuto esplodere e la dimensione circoscritta di eventuali guerre locali andava assolutamente salvaguardata. Siamo nel 1951.
La guerra finì due anni dopo, quando, nel luglio del 1953, con la morte di Stalin, si aprì la strada verso il più lungo armistizio della storia, che mai fu incanalato in un trattato di pace, con la separazione delle due Coree così come oggi appare. Una guerra che non portò ad un importante modifica, nonostante le numerose invasione e ritirate che la caratterizzarono, così come mostra l’immagine che segue.
Un paese devastato, 2.5 milioni di coreani, 500 mila cinesi e 34 mila americani perirono sul campo. Poi il riarmo occidentale, per paura di un attacco in Europa, la fornitura americana di armi alla Francia, per sedare una possibile rivoluzione in Algeria alla ricerca dell’indipendenza, e ancora, l’apertura della faglia tra Russia e Cina e l’invasione del Tibet da parte di Mao quando gli occhi erano tutti concentrati sulla penisola coreana.
Infine, due paesi ancora oggi in costante guerra, con un Nord ritirato dall’armistizio, di cui poco si conosce, ignorati dai media, dimenticati dalla gente.