Nato a Cuneo, il 28 agosto 1920. Partigiano, giornalista, scrittore, polemista, Giorgio Bocca iniziò a scrivere su giornali locali sin da adolescente. Dopo essersi dovuto arruolare nell’esercito, decise di far del giornalismo la sua professione. E divenne, grazie soprattutto alle sue grandi inchieste degli anni ’80, figura esemplare di “giornalista”.
Di seguito un articolo tratto da L’Espresso, settimanale che lo vide protagonista negli ultimi anni della sua lunga carriera. Un articolo diverso da quelli a cui per decenni ci aveva abituati. Un articolo che, parlando di sé, parla a tutti.
“Penso di continuo, da padre, a come garantire il futuro dei miei figli e nipoti, anche se mi rendo conto benissimo che in certo modo forzo i loro desideri e le loro scelte, che è un sopruso da vecchio. Ma che altro è la famiglia se non quest’intreccio di contraddizioni, di lacci e lacciuoli da cui cerchiamo di scioglierci mentre li stringiamo? Mi rendo conto di continuo che l’educazione permissiva è un errore, che l’educazione senza verghe non li abitua alle punizioni e ai sacrifici, ma appena sento di genitori duri e aridi compiango i loro figli. Com’è difficile vivere e come è insostituibile vivere anche nei suoi errori. Non la finisco mai di tediare i miei figli e nipoti con la necessità della parsimonia, se non del sacrificio, non cesso mai di ricordargli i vantaggi di un padre lavoratore, risparmiatore, di ricordargli che la presente fortuna è sempre a rischio, che la triste povertà è sempre in agguato. Arrivo all’assurdo di rimproverargli in cuor mio di non aver fatto i sacrifici che giustamente potevano evitare. Di non aver osato e rischiato quando non ne avevano bisogno o quando sarebbe stato un errore osare e rischiare.
So che questo colloquio interiore con figli e nipoti è privo di senso, una copia in falsetto del colloquio interiore che certamente essi hanno con me, ma come sostituirlo, come non rendersi conto che la famiglia è questo e non altro: un eterno compromesso fra gli affetti e il buon senso, fra il buon pater familias e i giovani vitali e istintivi che siamo stati, fra le generazioni che continuano ma cambiano, e questa è la sola labile storia che li unisca, una storia che ci segue e comanda. I parenti saggi, per dire quelli della mia età che sono saggi finché non danno fuori se non di matto, ma da imprevedibili come tutti siamo, mi ripetono i loro consigli: alla figlia dai troppi soldi, non imparerà mai a vivere del suo, del ragazzo non freni la violenza che ora è voglia di vivere ma potrebbe diventare arroganza o prepotenza.
Hanno ragione, ma a parole, non nella vita come è, ed è la vita com’è che non insegna niente a nessuno, checché ne dicano i libri di scuola, che costringe tutti a ripetere gli stessi errori salvo diventare un tronco d’albero senza più vita. Ora ti frena e ora ti consiglia a non remare contro ai desideri e ai capricci dei figli. Il miracolo della famiglia è di resistere negli anni alle sue contraddizioni, ai confronti dei difetti e dei gusti, di far vivere fianco a fianco per anni persone legate nel sangue ma diversissime in tutto il resto, insomma il miracolo di vincere la noia familiare e di far prevalere i conforti, gli imprevedibili conforti familiari di cui mi sono reso conto negli anni di ferocia che abbiamo chiamato di piombo.
In quegli anni ho visto che gli unici legami che resistevano alla paura e all’odio erano quelli familiari, che gli unici a non ripudiare il figlio terrorista o sbirro erano i parenti, gli unici che incontravi nei parlatori delle carceri o nelle corsie degli ospedali. È la constatazione che a superare le prove supreme della parentela, della comune origine, della comune storia è un legame carnale, un fatto diciamo bestiale più che intellettuale ci richiama al mistero dell’umana esistenza pronta a uccidere per sopravvivere e a morire per solidarietà“.
Giorgio Bocca, da L’Espresso del 28 gennaio 2011