Spartiacque nella storia, tramonto di un’epoca. Era passato un mese da quando i proiettili del rivoluzionario bosniaco Gravilo Princip colpirono Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono dell’Impero austro-ungarico. La storia, o forse la leggenda, ci racconta che se Ferdinando non avesse seguito le mode del tempo, si sarebbe salvato. Abiti troppo stretti, eccessivi strati ed innumerevoli bottoni che non fecero in tempo ad essere slacciati, non permisero ai soccorsi di arginare le ferite in tempo.
L’esito non sarebbe cambiato, la guerra, il 28 luglio del 1914, sarebbe in ogni caso scoppiata. L’attentato fu solo un pretesto, ma da quel giorno il mondo cambiò. La Germania non poté non appoggiare l’Austro Ungheria. Nello stesso modo, la Russia non poteva abbandonare la Serbia, vittima di un diktat inaccettabile. Uno dopo l’altro, i diversi paesi presero le proprie posizioni; Russia, Giappone e Italia da una parte, Imperi centrali e Impero Ottomano dall’altra. La guerra era scoppiata, dopo una quiete durata più di cento anni, nella quale erano maturati i diversi motivi di discordia che confluirono proprio lì, in quel fatidico 28 luglio di 100 anni fa.
Un conflitto che ben presto assunse dimensione mondiali, anche dal punto di vista del teatro degli scontri: si combatté, oltre che in Europa, nell’Impero Ottomano, nelle colonie tedesche in Asia e su tutti i mari. 65 milioni di uomini combattenti, provenienti da 30 paesi del mondo. Una guerra che si racconta tramite il numero dei morti, 6 mila al giorno, tramite la lunghezza delle trincee, scavate per 25 mila chilometri, contando solo quelle presenti sul fronte occidentale, tramite i carri armati, maschi muniti di cannoni e femmine armati di mitragliatrice, tramite il dominio dell’aria e della potenza aerea, tramite i bombardamenti, i cali di natalità e le poesie. Forse -forse- le più belle poesie del primo ‘900 furono scritte proprio lì, in quelle disumane trincee, da chi si sentiva “ […] come / d’autunno / sugli alberi / le foglie” e da chi con un fucile puntato sul petto si “raggrinzii, vergine violentata dal mascalzone”. Da Giuseppe Ungaretti, da Camillo Sbarbaro e da altri ancora.
Una guerra vissuta, infinitamente lenta, tra soldati di reggimento opposti considerati nemici e nel mentre fratelli, uomini condannati da uno stesso destino. E una piccola tregua, durante il Natale del 1914, fu osservata su due terzi del fronte occidentale, dove truppe tedesche ed inglesi si sfidarono in una partita di calcio, nella cosiddetta Terra di Nessuno. La Germania vinse 3-2. Ma da lì a poco il risultato si sarebbe improvvisamente ribaltato. Wilson tradì il suo slogan, con il quale vinse il suo secondo mandato nel 1916: “Ci ha tenuti fuori dalla guerra” e il 6 aprile del 1917 Washington dichiarò guerra alla Germania.
Sarebbero arrivate la vittoria dell’Intesa e i trattati di pace, premessa e premonizione di quella guerra che avrebbe nuovamente devastato il mondo intero.
Camilla Mantegazza
Galleria fotografica del Forte Montecchio Nord di Colico (LC), La fortezza della Prima Guerra Mondiale meglio conservata in Europa