di Camilla Mantegazza
Bisogna tornare con la mente a quel famoso 9 novembre del 1989 per comprendere il successivo atto di riunificazione della Germania: simbolo di una situazione storica che era divenuta ingestibile, di un comunismo che doveva ammettere le proprie colpe, dichiarando la propria sconfitta.
In quel 9 novembre che cambiò il mondo, un giovane ragazzo dell’Est salì in piedi sul Muro. I poliziotti decisero di non sparare: lo innaffiarono con degli idranti. Il ragazzo passeggiò a lungo sul Muro, zuppo d’acqua, per poi saltare giù nella parte occidentale. Dopo poche ore, migliaia di ragazzi, da Est, così come da Ovest, si appollaiarono sul Muro, e altri, dal basso, iniziarono a distruggerlo, come duecento anni prima era stata demolita la Bastiglia.
Nei giorni successivi, quel Muro iniziò ad essere venduto, come souvenir di un regime comunista che ormai non c’era più. Non era stato il comunismo a perdere, ma erano state le sue distorsione, i suoi uomini, la sua non applicabilità a quel punto e in quel luogo.
I dirigenti dimostrarono una sorta di lucidità raramente avuta nel prendere atto della situazione, e sotto la pressione di manifestazioni sempre più stringenti e dilaganti, autorizzarono l’apertura delle frontiere dando via a quell’esodo di berlinesi orientali accolti con festa grande dall’Ovest capitalista, che per l’occasione offriva cento marchi di benvenuto, sconti, vino e cibo.
E furono ancora una volta i giovani ad essere protagonisti di questi cambiamenti, liberi da impostati schemi ideologici incapaci di produrre categorie di pensiero adatte a quella generazione che non aveva conosciuto la guerra, e che era ormai a piena conoscenza del mondo delle vetrine illuminate, della pubblicità, dei beni di consumo, della pornografia, della moda e, infine, dei vantaggi del benessere e della libertà.
Così, per la prima volta si incontrarono giovani nati e vissuti a pochi metri di distanza, padroni di una stessa lingua, caratterizzata dallo stesso accento, ma appartenenti a due mondi lontanissimi, con usi e costumi tra di loro alieni. E quando il 3 ottobre del 1990 si dichiarò l’esistenza di una Germania, unita e indissolubile, accettata dall’URSS nonostante l’appartenenza allo storico schieramento avverso, ed avente come Costituzione quella costruita per la Repubblica Federale Tedesca, si decise anche di liquidare le conseguenze di quella guerra mondiale che durava da un cinquantennio: un pezzo di Patto di Varsavia sarebbe passato alla NATO, senza alcuna contropartita. La storia aveva voltato pagina incredibilmente ma contemporaneamente in modo abbastanza prevedibile.
Ma l’uscita dal comunismo e i costi della riunificazione furono oltremodo pesanti. La libertà finalmente conquistata suscitò nell’immediato un entusiasmo collettivo, che presto lasciò il passo ad una profonda insoddisfazione reciproca. Lo Stato, nella sua solida tradizione di Welfare, assicurò protezione sociale alle popolazioni dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, in preda a quei fenomeni sino ad allora sconosciuti come la disoccupazione ed emarginazione, che crearono un profondo disorientamento tra i sedici milioni di nuovi cittadini della Germania Federale mai scossi dalle oscillazioni dell’economia di mercato. D’altra parte, il carico fiscale notevolmente accresciuto, per i sessanta milioni di tedeschi occidentali determinati dai costi della ricostruzione delle regioni orientali, minò leggermente gli equilibri politici, così come causò alcuni episodi di intolleranza.
Ma il governo rimase stabile nelle mani del democristiano Kohl, il quale si trovò a gestire una fortunata congiuntura economica coadiuvata dalla nascita dell’Unione Europa, nonostante sin da subito si manifestò un problema che, oggi, è quanto mai di attualità: la paura che la Germania divenisse una grande potenza egemone tra gli Stati uniti che, con profonda fatica, avevano deciso di riunirsi sotto un’unica bandiera di stelle.