di Mattia Gelosa
Data tragica quella del 30 luglio 2007 per il mondo del cinema, con la morte di due autori che hanno condizionato la storia di questa arte.
Antonioni, ferrarese, si forma in grembo al movimento del Neorealismo italiano, lavorando con autori quali Visconti, Rossellini, De Sanctis e facendo anche esperienze francesi con Carnè. In quel movimento, però, si sentiva stretto e, proprio come fece Fellini, alla fine decise che bisognava cambiare le carte in gioco, andare a toccare nuovi temi e nuovi modi di fare cinema: dopo l’esordio con Cronaca di un amore (1950), che inizia a esplorare i rapporti uomo-donna, passa a film incentrati sull’alienazione, l’incomunicabilità e i grandi mali psicologici dell’uomo moderno.
Opere come La notte e Il deserto rosso, datati 1961 e 1964, sono capolavori sia per lo stile e la tecnica registica che per l’universalità e la modernità dei temi, con il primo premiato con l’Orso d’oro di Berlino. Tale successo gli permette di poter lavorare col produttore Carlo Ponti e di girare con attori stranieri e in inglese: nel 1966 gira forse il suo film più famoso, Blow up, in cui vediamo protagonista David Hemmings (noto anche per Profondo rosso di Argento) nei panni di un fotografo di moda che pensa di aver immortalato con il suo obiettivo un delitto. Il film, pieno di riferimenti simbolici e riflessioni sul potere delle immagini e l’importanza dello sguardo, finisce con una geniale partita a tennis dove si gioca…senza palla!
Palma d’oro a Cannes e doppia nomination agli oscar per un regista che riceverà nel 1995 la statuetta come premio per la carriera, proprio mentre sta girando Al di là delle nuvole con Wim Wenders. Nel 2004 gira un documentario chiamato Lo sguardo di Michelangelo e uno degli episodi del film a più autori Eros, poi subentra una malattia debilitante che il 30 luglio di tre anni dopo lo ucciderà nella sua casa romana.
Ingmar Bergman, invece, è praticamente il simbolo del cinema scandinavo e una delle auctoritas del cinema d’autore: anch’egli si muove partendo dagli anni ’50 con i primi film esportati anche all’estero e con lavori di prestigiosa fattura per il Teatro Municipale di Malmo.
Il grande successo arriva nel 1957 con Il settimo sigillo, premio della giura a Cannes, che mostra le abilità di Bergman nel girare scene oniriche e d’effetto con mezzi poverissimi. La sequenza della partita a scacchi tra il cavaliere e la morte è tra le più famose di sempre.
L’anno dopo firma un altro successo, Il posto delle fragole, riflessione sulla vita e la morte densa di simboli e ancora di scene visionarie, premiato con l’Orso d’oro a Berlino e col premio della critica a Venezia.
Dopo una prima fase seguono pellicole che approfondiscono il lato psicologico dell’essere umano, capolavori come Persona o Come in uno specchio, oscar come miglior film straniero nel 1962, incentrato sull’incontro tra due coppie che vedono ognuna nell’altra i segni di disagio e del male di vivere. Molte sono le tematiche esistenziali e religiose toccate dall’opera, che apre appunto questo periodo di profonde riflessioni. Persona e l’inquietante quasi-horror L’ora del lupo proseguono un’approfondimento su temi quali la solitudine e i turbamenti inconsci dell’uomo. Spostatosi ora sull’isola di Faro, perfetta ambientazione per queste pellicole dai toni cupi e drammatici, ricrea in tale sede una sorta di centro di produzione e di riprese.
Nel 1974 torna a filmare un opera da oscar, si tratta dell’intimissimo Sussurri e grida, premiato per la fotografia. Grande successo anche per il successivo Scene da un matrimonio, ancora giocato sull’incontro tra due coppie, e per le trasposizioni cinematografiche de L’avaro da Moliere e de Il flauto magico di Mozart. Nel 1976 iniziano per Bergman anni duri: accusato di frode fiscale, vive per 9 anni sotto i riflettori e al centro di una vicenda giudiziaria che si risolve poi in una multa di bassissima entità, ma che lo mette sotto pressione al punto da farlo sprofondare in una crisi che si risolve solo con la reclusione per tre mesi in un ospedale psichiatrico.
Ricomincia a lavorare con altri film, L’uovo del serpente e Fanny e Alexander su tutti, per approdare poi alla televisione e continuare col teatro, chiudendo la carriera con Sarabanda nel 2003, girato a 85 anni. Poi il ritiro nella sua casa di Faro e la morte a ottantanove.
Bergman rimane ancora un’icona dei film simbolici e sui grandi temi legati all’uomo, sempre originale, crepuscolare e onirico nelle sue messe in scena.