di Francesca Radaelli
Sembra che avesse fatto richiesta che il suo corpo non fosse chiuso in una bara, lui che di racconti su inquietanti vicende legate a cadaveri e cimiteri ne aveva scritti parecchi. Oggi però la tomba di Guy de Maupassant troneggia nel cimitero parigino di Montparnasse, insieme a quelle di tanti illustri poeti, letterati e filosofi.
Il 6 luglio 1893, giorno della sua morte, ha soltanto 43 anni e da oltre un anno e mezzo ha completamente perso la ragione, minato nella psiche, oltre che nel fisico, dalla malattia – la sifilide, probabilmente ereditata dal padre – che ha segnato la sua intera esistenza. Senza impedirgli peraltro di scrivere la bellezza di trecento racconti e sei romanzi, che fanno di lui uno dei maggiori novellieri francesi del secondo Ottocento.
Nato nel 1850 da madre appassionata di letteratura e padre appassionato soprattutto di belle donne, stringe ben presto una forte amicizia con Gustave Flaubert, che diviene suo maestro e guida i suoi primi passi nel mondo della letteratura. Ma è anche frequentando le redazioni dei giornali e appassionandosi al linguaggio crudo degli articoli di cronaca che Maupassant mette a fuoco la cifra stilistica che caratterizzerà tutta la sua produzione. Ossia una scrittura sobria e impersonale, che come uno scatto fotografico riesce a mettere in luce nel modo più incisivo gli aspetti più meschini e gretti dell’umanità e della società, che prendono corpo proprio nelle vicende dei suoi personaggi.
Come i compagni di viaggio di Palla di Sego (Boule de suif), la prostituta protagonista della prima novella di Maupassant, che viene pubblicata nel 1880 all’interno della raccolta Le serate di Mèdan curata da Emile Zola: condividere la stessa carrozza con una donna di tali costumi e professione è imbarazzante e spiacevole per i nove viaggiatori in fuga da Rouen, almeno finché non si scopre che lei è l’unica ad avere del cibo da condividere durante il viaggio e che le chance di superare un posto di blocco dei prussiani dipendono solo dalla disponibilità della ragazza a concedersi ai nemici. Ma la generosità della ragazza non è sufficiente e, al termine del viaggio, tornerà ad essere emarginata e malvista dalla gente perbene.
Non è soltanto Parigi a far da sfondo ai racconti di Maupassant, che ama rappresentare anche i paesaggi della sua terra d’origine, la Normandia, e i personaggi, per lo più contadini, egoisti e superstiziosi, che li abitano.
La malattia non gli impedisce di compiere numerosi viaggi, anche all’estero: visita l’Inghilterra e l’Italia, compie traversate a bordo dello yatch di sua proprietà, che chiama Bel Ami dal titolo del proprio romanzo, si spinge fino in Africa del Nord, recandosi in Algeria e Tunisia nel 1887, mentre la salute peggiora sempre di più. D’altronde, confida agli amici, i viaggi rappresentano anche un modo per sfuggire all’ansia del malato cronico.
Trascorre gli ultimi anni a Parigi, in un momento in cui in città non si parla d’altro che di lei, la torre Eiffel. A Maupassant quel ‘camino da cucina in ferraglia’ non piace neanche un po’. Insieme ad altri personaggi illustri della cultura francese ha firmato una lettera di protesta in cui si chiede di sospenderne la costruzione per non rovinare quello che oggi chiameremmo lo ‘skyline’ della città. Eppure, dopo l’inaugurazione del monumento, lo scrittore prende l’abitudine di frequentare proprio uno dei ristoranti della torre. La ragione? A Parigi non c’è posto migliore da cui evitare la vista della Tour Eiffel.
Oggi accadde anche:
Ludovico Ariosto da Ferrara alla Luna