Adam Smith, filosofo e padre del pensiero economico moderno

di Fabrizio Annaro

Adam Smith, nato il 16 giugno 1723 in Scozia, è giustamente considerato il padre dell’economica politica classica. Dopo gli studi di filosofia si dedicò allo
studio della disciplina economica. Correva l’anno 1776 quando pubblicò “La ricchezza delle nazioni”, una pietra miliare che influenzerà tutta l’evoluzione del pensiero economico e della cultura contemporanea. 

Adam Smith sviluppò la sua ricerca con l’obiettivo di indicare quali fossero le cause e gli effetti della crescita della ricchezza di tante nazioni europee. La rivoluzione industriale aveva provocato un esodo dalle campagne e un forte  sviluppo delle città. I contadini, comprese donne e bambini, lasciavano vanga e zappa per impugnare incudine e martello, al fine di dedicarsi al lavoro industriale sicuramente più duro e faticoso, ma nettamente più remunerativo. Dunque qual era il segreto di questa nuova e crescente ricchezza?

Per Smith  furono due le componenti di questo successo: il lavoro e la tecnica.

Nel libro La ricchezza delle nazioni Adam Smith analizza le cause della crescita economica e il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce  fra le classi sociali.

Per l’economista la ricchezza è prodotta attraverso il lavoro e può essere incrementata grazie al miglioramento tecnico. E’ lo stesso lavoro a determinare il valore di scambio di un bene, dando origine alla cosiddetta teoria del valore-lavoro. Teoria in contrasto all’idea che la ricchezza fosse generata dalla natura, come avevano ipotizzano gli economisti fisiocratici.

Prima delle fabbriche, l’uomo traeva sussistenza dall’agricoltura. C’erano, inoltre, i commercianti che nel corso dei secoli, avevano accumulato parecchi denari, capitali che servirono a finanziare la successiva rivoluzione industriale. Infine l’economia si sorreggeva grazie anche al lavoro commissionato da clero e nobiltà.

Il fatto che fosse l’agricoltura il centro della vita economica, rendeva l’uomo profondamente legato ed assoggettato alla Natura. Non solo. L’agricoltura costringeva l’uomo a “guardare al cielo” per chiedere che i raccolti fossero abbondanti, le siccità allontanate e le calamità evitate. Insomma la prosperità era legata a Dio e alla Natura.

Prima della rivoluzione industriale, quindi, la Provvidenza governava, agli occhi degli uomini, i processi economici. L’episodio biblico di Elia, il profeta che grazie al miracolo offre ad una donna povera e  vedova olio e farina in abbondanza, ci fa  capire quanto fossero importante la Fede e lo “scrutare il cielo” per garantire la sopravvivenza.

Quando le macchine, inventate dall’uomo, proruppero nel panorama delle relazioni economiche sociali, come afferma Adam Smith nel suo libro, allora “il lavoro dell’uomo grazie alle tecnologia e alla sua divisione diventa fonte potentissima di valore economico”.

Una rivoluzione non solo economica, ma soprattutto culturale. Oggi, come ai tempi di Adam Smith, è l’uomo e il suo lavoro, il centro e la fonte del valore. Le innovazioni tecnologiche rappresentano un amplificatore della produttività del lavoro. Ma l’uomo con la sue scoperte tecniche si scopre onnipotente. Natura e Provvidenza assumono, in questo contesto culturale, un ruolo secondario.

L’opera di Adam Smith ha il grande merito di aver dato inizio alla ricerca e al dibattito sul valore e sulla sua distribuzione fra le diverse classi sociali. Ma il valore non può essere circoscritto alla solo sfera materialistica e richiede un approfondimento più ampio e adeguato, soprattutto rispetto al complesso dei bisogni e delle esigenze umane. Un dibattito ancora aperto che  necessita di essere arricchito dalle correnti di pensiero che si richiamano ad un nuovo umanesimo.  

Negli anni 50 e 60, Pier Paolo Pasolini, poeta, letterato e regista, forse fra i più grandi intellettuali del nostro tempo, aveva parlato dei rischi e dei pericoli sulla fine della civiltà contadina e la sua trasformazione  in civiltà industriale e consumistica. Rischi e pericoli che avrebbero minacciato la Chiesa, la spiritualità e l’uomo moderno. 

Non possiamo nemmeno dimenticare il grande tema della redistribuzione del lavoro. La tecnica e l’automazione, da un lato hanno provocato grandi miglioramenti dello standard di vita, dall’altro hanno depauperato il valore del lavoro umano generando disoccupazione e grandi squilibri.

Oltre alla teoria del valore-lavoro, Adam Smith è il padre della dottrina della “mano invisibile”.  Smith era convinto che il mercato, grazie alla concorrenza, sarebbe stato in grado di regolare e redistribuire automaticamente il valore, ridurre se non annullare gli squilibri, stabilizzare l’ordine sociale.

In sostanza per Smith squilibri ed ingiustizie sociali non sono carenze strutturali del sistema capitalistico, come teorizzarono successivamente Karl Marx e J. M. Keynes.  Esse derivano dalla scarsa concorrenzialità dei mercati e dalla diseguale condizione di partenza degli attori della produzione e del mercato.

Smith, pertanto, è considerato il teorico del libero mercato e l’ispiratore del liberismo moderno, ideologia  che vieta l’intervento dello Stato nei rapporti economici  e sociali della nazione.

Oggi il mondo economico globalizzato si caratterizza per lo strapotere della finanza e la crescita  esponenziale del debito pubblico.

Sarebbe interessante poter conoscere l’opinione del filosofo scozzese di fronte alle teorie moderne e in particolare quella sviluppata dell’economista americano Paul Romer, premio Nobel dell’Economia  2018.  Romer ha dimostrato che le forze economiche governano la volontà delle imprese di produrre nuove idee e innovazioni e quindi sarebbero la conoscenza e l’istruzione a generare sviluppo e lavoro.

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