“Sono sicuro di aver visto giusto? E soprattutto che cosa ho visto? “ L’occhio e la mente che si interrogavano erano quelli di Cesare Colombo, fotografo eccellente che ci ha lasciati lo scorso 18 gennaio a 80 anni. E ha lasciato intorno a se’ un grandissimo vuoto per tutto quello che nel corso della vita aveva costruito e trasferito nel mondo della cultura. Cesare non era solo un grande maestro della fotografia, ma un intellettuale, profondo e sapiente, che esercitava il proprio spirito critico nei confronti non solo delle immagini, ma del ruolo che queste avrebbero dovuto avere nella società: un occhio attento, spregiudicato, capace di leggere e di denunciare le trasformazioni e le contraddizioni del tempo. “Un’arma sociale”.
Cesare apparteneva a quella generazione di uomini e di donne che usavano la testa, sempre, e che mettevano tutta la propria passione a disposizione di colleghi e amici fotografi. Si e’ battuto con forza e coerenza per dare dignità culturale alla fotografia, “la sorellina disabile dell’arte” come lui stesso la definiva.
Critico, docente, giornalista, storico, grafico, pubblicitario, Cesare Colombo nasce a Milano nel 1935. Il suo babbo, Augusto, è un pittore affermato e celebrato. Anche la madre, Maria Sassi, è pittrice di valore. Lui, però, sceglie la fotografia. Nella Milano degli anni Sessanta, della contestazione, dei cortei quotidiani, si interroga sul senso delle immagini. “ Non è sufficiente fotografare lo striscione con la parola d’ordine del momento per fare fotografie ’impegnate’. Bisogna risalire la corrente e andare alle radici dei conflitti”.
Una ricerca che condivide con amici e colleghi come Gianni Berengo Gardin o Toni Nicolini, una generazione di intellettuali che capisce, con grande anticipo, il potere delle immagini nella società di massa
E, questa, è stata una battaglia per fare in modo che la fotografia diventasse protagonista all’interno di un dibattito culturale . Un tema poco o nulla avvertito da istituzioni e governi contrariamente a quanto avviene in altre nazioni come , per esempio, la Francia. Proprio con questo spirito Colombo si è dedicato a conservare la memoria visuale di questo paese, “salvatore di foto altrui” come affermano alcuni amici. Foto della città, dell’industria, dell’architettura snobbate da un “paese non predestinato alla fotografia” come sosteneva lui stesso. Fino all’ultimo, in ospedale ricoverato per infarto, ha chiesto gli occhiali e i giornali. Per mantenere in esercizio quell’occhio che ci ha aiutato a capire il mondo.
Daniela Annaro