di Francesca Radaelli
Rimboccarsi le maniche e lavorare insieme. Mettersi al servizio della comunità, ognuno con le proprie competenze. E’ un principio basilare dell’educazione scout. E oggi più che mai, in tempi di emergenza sanitaria, è necessario che questo principio guidi l’azione di tutti, a vantaggio della salute e del benessere della collettività stessa.
Il messaggio è stato ribadito lo scorso sabato 17 ottobre, al teatro Villoresi di Monza, nel corso della tavola rotonda che ha fatto seguito alla presentazione del nuovo Centro di Documentazione sullo scoutismo monzese (vedi articolo qui). E’ stata di fatto la prima uscita pubblica del movimento MASCI, Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani, di Monza e Brianza. L’incontro ha visto la partecipazione di diversi professionisti qualificati, in ambito sanitario e politico-amministrativo, accomunati da esperienze di volontariato scout e non: Rosita Garghentino, Filippo Viganò, Michele Bertola e Agostino Migone.
Tema del confronto: salute e benessere. Il riferimento è a uno degli obiettivi dell’agenda 2030. Ma quello della salute è soprattutto un argomento attualissimo in tempi di pandemia e di ‘seconda ondata’. E su questo si sono concentrati gli interventi dei relatori.
Dopo la presentazione di Sandro Poli, responsabile della Comunità MASCI, il confronto, condotto dal giornalista Fabrizio Annaro, ha preso avvio dal racconto umano e professionale dell’esperienza vissuta dai relatori durante la prima ondata della pandemia, ciascuno nel proprio campo.
La tragedia di Bergamo e una luce di speranza
Racconti tragici, ma che spesso contengono anche una luce di speranza.
Come quello di Michele Bertola, direttore generale del comune di Bergamo. In prima linea in uno dei centri della prima ondata della pandemia, ha voluto sintetizzare la sua esperienza nel racconto di due episodi, drammatici, ma non privi di speranza. Il primo, legato all’emergenza delle pompe funebri della città, che nelle prime settimane di marzo non riuscivano a stare dietro le richieste di cremazione dei defunti: “Si è attivata allora una rete positiva di relazioni sia con una serie di altri comuni che ci hanno consentito di utilizzare i loro forni, sia con la Curia locale, che ci ha permesso di utilizzare la chiesa del cimitero per deporre le bare in attesa della cremazione delle salme. Ma è scattata anche la responsabilità di alcuni singoli impiegati comunali che si sono presentati di loro iniziativa, e senza compenso, al cimitero per supportare servizi cimiteriali”.
Il risultato di questo lavoro lo ricordiamo tutti: le immagini drammatiche del 18 marzo, la lunga fila camion, carichi di bare, che escono dalla città. “Nella tragedia, però, è scattato un elemento di responsabilità. Le persone e le istituzioni sono andate oltre i limiti burocratici, lavorando per il bene comune. Quel momento ha già cambiato le cose”.
Una risorsa inaspettata
Altro esempio: la mobilitazione dei volontari. In lockdown emerge il problema delle persone fragili abitanti a Bergamo: “Per aiutare, si proposero circa mille volontari. Di questi, 300 appartenevano già al mondo del volontariato (scout, parrocchie, oratori), 700 invece non c’entravano nulla ma sentirono di dover fare qualcosa per la città”. Dei circa 2400 buoni spesa erogati durante il lockdown, racconta Bertola, solo il 20% delle persone era già conosciuto dai servizi sociali come situazione fragile, gli altri erano situazioni sconosciute. “Il Covid ha tirato fuori da un lato una risposta diffusa da parte delle persone, un desiderio di essere utili alla comunità. Nel contempo però anche la presa di coscienza che la nostra capacità di intercettare i bisogni è assolutamente carente rispetto al bisogno reale: 15 giorni di lockdown hanno messo in ginocchio 1900 famiglie. Insomma, abbiamo capito di avere più problemi e molte più risorse di quello che pensavamo”.
Ma la cosa che colpisce di più è che in molti casi chi era il ‘problema’ era anche la risorsa. “Molte delle famiglie che ricevevano i buoni spesa erano anche persone che andavano volontariamente a fare la spesa per gli anziani della città. Noi siamo troppo abituati nella sanità, nel sociale nel pubblico, ma anche nel privato, a immaginare che benefattore e beneficiario siano distinti. Spesso non è così”. E poi c’è stata la costruzione dell’ospedale, realizzato in 10 giorni alla fiera di Bergamo: “Avevamo bisogno di 40 artigiani: se ne sono presentati 200. Il Covid ha accelerato una partecipazione dei cittadini che non è andata perduta. Questi episodi hanno già modificato la situazione della città. Senza paura io lo chiamo già rinascimento”.
Un medico in prima linea
Nel contesto brianzolo, Filippo Viganò, medico di Medicina Generale e Presidente di Ciessevi Monza-Lecco-Sondrio, ha ricordato la situazione di smarrimento dei medici di famiglia allo scoppio della pandemia lo scorso mese di febbraio, in assenza di linee guida condivise per diagnosi o terapia. Ma ha anche messo in luce i risultati ottenuti grazie all’attivazione di nuove forme di collaborazione: “Grazie ai moderni mezzi di comunicazione abbiamo potuto avere notizie da Bergamo e Lodi per predisporre una linea comune. Abbiamo vissuto il lockdown come una situazione surreale in cui eravamo in giro solo noi. Ma soprattutto con apprensione e tristezza verso le persone che noi ritenevamo di dover ricoverare. Le vedevamo portare via, per poi, spesso, non vederle più tornare”.
Nel giro di pochi mesi i medici da eroi sono passati a carnefici. “Ci sono state centinaia di cause istruite per diagnosi ritardate, in tempi di pandemia, a persone che sono poi decedute. Ma la nostra categoria sta reagendo bene. E voglio ricordare la telefonata avuta recentemente con un medico durante la sua attività in ospedale. A 65 anni, reduce da 12 ore di lavoro in corsia, mi ha detto: ‘E’ la prima volta in cui mi sento veramente utile”. Ora stiamo tornando in una situazione pericolosamente simile a quella di marzo, anche se dovremo essere più preparati ad affrontarla: “Abbiamo capito una cosa importante: occorrono integrazione e comunicazione. Sappiamo che dovremo convivere con il virus per un po’ di tempo. Per questo il territorio deve parlare con l’ospedale, ma soprattutto i comuni, il terzo settore devono fare comunità. ’”.
Collaborare e comunicare nel modo giusto
Di collaborazione tra tutte le forze sanitarie ha parato anche Agostino Migoni, avvocato e presidente del comitato di bioetica dell’Humanitas: “Quando a Bergamo è scoppiata la pandemia e l’ospedale Humanitas Gavazzeni ha dovuto trasformarsi in ospedale Covid, ci siamo tutti sentiti coinvolti. Il primario di reumatologia dell’Humanitas si è trasferito nell’ospedale di Bergamo proprio per seguire la sperimentazione su un anticorpo monoclonale che si usa in reumatologia all’interno della cura del Covid”.
Per quanto riguarda la ricerca medica, Migoni ha messo in luce l’importanza di veicolare un’informazione corretta ai non addetti ai lavori, evitando gli scontri tra medici e scienziati nei talk show in prima visione tv. Un’informazione che riporti, pur nel dialogo, un rispetto delle competenze scientifiche.
I pericoli per famiglie e minori
Un allarme sulle conseguenze del lockdown rispetto ai minori e alle famiglie in difficoltà è stato invece lanciato dalla neuropsichiatra infantile Rosita Garghentino. Da un lato la principale preoccupazione dei genitori di minori con problemi medici: l’interruzione del percorso di cura avviato. Dall’altro la difficoltà dei minori con fragilità psicologiche, e dei nuclei familiari in sofferenza socio economica già prima della pandemia. “Già vediamo gli effetti del lockdown di marzo sugli adolescenti più fragili: tanti faticano a riprendere la vita sociale, vedono la minima difficoltà come un ostacolo insormontabile. E tra i casi che come neuropsichiatri ci ritroviamo a trattare aumentano le minacce di suicidio”.
Come affrontare il futuro?
Il grande tema, ora, è come guardare al futuro. Di fronte al profilarsi di una nuova fase di emergenza, chiede Fabrizio Annaro, come far tesoro delle esperienze positive e negative già vissute? E come costruire qualcosa di strutturale e duraturo nell’ambito del benessere, seguendo l’obiettivo dell’Agenda 2030?
La risposta che ognuno dà, con riferimento al proprio campo di azione, può essere riassunta in una parola: collaborazione.
Un lavoro di equipe sui servizi, per rilanciare la speranza, tra gli adulti e tra i ragazzi, secondo Rosita Garghentino: “Dagli scout ho imparato che solo affrontando le situazioni posso costruire in me la sicurezza di poter stare in piedi. Per rendere possibile questa sicurezza dobbiamo rilanciare una speranza, con servizi – per esempio quelli riabilitativi – che devono funzionare meglio, non paralizzarsi allo scoppiare della pandemia” .
Una collaborazione a livello europeo sulla ricerca scientifica, che, dice Agostino Migone, è già stata avviata. “La nuova normativa ha istituito un portale europeo di tutti i dati delle sperimentazioni cliniche che si conducono in Europa. Per essere al passo l’Italia deve a sua volta mettere in atto una serie di provvedimenti normativi. Per esempio una riforma dei comitati etici, che devono diventare più incisivi nelle loro competenze”.
Collaborazione tra associazioni e tra associazioni e istituzioni amministrative, sottolinea Filippo Viganò, da presidente del CSV: “Anche a Monza il Covid ha fatto emergere la voglia di collaborare dare aiuto. Come CSV stiamo cercando di raccordare tutte le associazioni in modo che siano più preparate per affrontare ciò che sta accadendo . Uno snellimento della parte burocratica richiesta per le convenzioni con i comuni aiuterebbe molto. Nel mondo del volontariato il lockdown ha innescato l’idea del movimento. Prima erano le persone a spostarsi, a venire da noi in cerca di aiuto. Il Covid ha ribaltato tutto: sono stati i volontari ad andare a casa delle persone. Si sono aperte nuove possibilità burocratiche, considerando che in Lombardia la cronicità dei malati sta aumentando e diventa strategico promuovere dei servizi a domicilio. Insomma, come tutte le crisi, anche questa può essere un’occasione per ripartire migliorando”.
Collaborazione anche a distanza per non interrompere le relazioni educative, collaborazione con i servizi di prossimità sul territorio è quanto è già stato messo in atto nel Comune di Bergamo. Michele Bertola racconta gli esempi virtuosi degli asili nido che hanno mantenuto contatti giornalieri con le famiglie durante il lockdown, ma anche dei negozi di quartiere che sono diventati punti di distribuzione delle mascherine. E poi di un progetto di finanziamenti destinati al terzo settore, finalizzati a creare risposte e nuovi servizi per affrontare la situazione Covid: “Nell’immaginario collettivo a volte manca un po’ di fiducia nella pubblica amministrazione, ma nell’emergenza abbiamo agito in modo tempestivo, in alcuni casi forzando la burocrazia, assumendoci responsabilità e anche molti rischi. Serve però la collaborazione di tutti”.
Insomma bisogna tirare fuori lo spirito scout. “Se collaboriamo e lavoriamo insieme le difficoltà possono essere affrontate”, sottolinea Sandro Poli, tirando le somme in conclusione. “E tutti possiamo partecipare alla costruzione, e ri-costruzione, del nostro modo di essere società. E di stare insieme”.
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27 ottobre 2020