di Luigi Losa
Quanti sanno o conoscono chi è stato Aldo Moro sicuramente associano la sua figura alla sua tragica morte avvenuta il 9 maggio del 1978 per mano delle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia e di fatto di agonia che sconvolsero non soltanto l’intera Italia. Quel feroce omicidio segnò insieme l’apice della violenza terroristica ed al contempo l’inizio della sua fine, anche se negli anni che seguirono furono ancora molte le vittime prima che ‘la notte della Repubblica’ secondo la felice quanto drammatica definizione di Sergio Zavoli (titolo anche di un memorabile programma televisivo) potesse dirsi conclusa.
Pochi forse ricordano che oggi, 23 settembre, ricorrono i 100 anni della nascita, a Maglie in provincia di Lecce, di un uomo che è stato sicuramente uno dei maggiori statisti della storia repubblicana nazionale. Un protagonista del pur faticoso ritorno della democrazia nel Paese dopo il regime fascista e la guerra, anche civile, che ne segnò la definitiva caduta.
Aldo Moro fu studioso e docente di diritto e filosofia ma la sua ‘vocazione’ politica emerse sin dal 1935 quando, studente 19enne dell’Università di Bari, entrò a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, la mitica Fuci, della quale solo quattro anni dopo divenne presidente nazionale su sollecitazione dell’allora monsignor Giovanni Battista Montini a quel tempo assistente ecclesiastico della importante associazione, nominato da Papa Pio XI, il desiano Achille Ratti.
Quel Montini, suo amico e confidente, che sarebbe poi diventato arcivescovo di Milano e quindi, nel 1963, Papa Paolo VI ed al quale toccò di vivere la tragica fine di Moro prima di morire a sua volta, il 6 agosto di quel fatidico e storico 1978.
Moro fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, di cui già nel 1946 fu vicepresidente, ma collocandosi sin dall’inizio nella componente dossettiana più democratico-sociale. E proprio questa sua attenzione al cattolicesimo sociale lo vide protagonista sia dell’apertura ai socialisti con la guida del primo governo di centrosinistra (dal 1963 al 1968) sia del famoso ‘compromesso storico’ con il Partito Comunista di Enrico Berlinguer a partire dal 1976 quando divenne presidente della Dc.
Due volte presidente del consiglio, due volte ministro degli esteri, Ministro della Pubblica Istruzione, della Giustizia, segretario del partito, Moro viene rapito e ucciso all’età di 61 anni, al culmine della sua carriera politica e nel momento in cui si realizza e concretizza il primo governo di solidarietà nazionale guidato da Giulio Andreotti e che ottiene la fiducia, anche del Pci, proprio il giorno dopo del sequestro del presidente della Dc e la strage dei cinque uomini della sua scorta, il 16 marzo del 1978 in via Fani.
La sua prigionia, le sue lettere dalla ‘prigione del popolo’, gli appelli, la rottura con il suo partito, i dissensi nella maggioranza in particolare con il Psi di Bettino Craxi, le divisioni tra chi sosteneva la fermezza e chi la trattativa, lo videro al centro della fase storica più dolorosa e drammatica della vita democratica italiana.
Alla fine pagò con la vita il folle disegno rivoluzionario di un terrorismo prigioniero di una violenza cieca e senza sbocco. Ucciso nel covo di via Montalcini con una raffica di mitra venne fatto trovare nel bagagliaio di una Renault rossa in via Caetani a metà strada tra piazza del Gesù sede della Dc e via Botteghe Oscure sede del Pci a sottolineare la volontà dei terroristi di spezzare quella ‘solidarietà’ politica attraverso la quale Moro voleva far superare all’Italia momenti difficili sotto ogni punto di vista.
Sul delitto e/o sul caso Moro si sono scritti decine e decine di libri, realizzati film e trasmissioni tivù ed ancora la ferita della sua uccisione pesa anche e soprattutto sulla famiglia: scomparsa qualche anno addietro la moglie Eleonora, i quattro figli, Maria Fida, Anna, Agnese e Giovanni hanno spesso assunto posizioni diverse anche rispetto alla madre, sia rispetto alla vicenda sia nei rapporti con gli ex terroristi.
Eppure, nel ricordare il centenario della nascita, non si può fare a meno di pensare e chiedersi cosa sarebbe stato di questo Paese se Moro avesse potuto vivere ancora.
La risposta ci viene da una delle sue frasi più celebri: “Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.
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