Dopo la tragedia dell’8 febbraio in cui sono morte oltre 300 persone, Amnesty International ha incontrato, a Lampedusa e a Roma, sopravvissuti, rappresentanti della Guardia costiera e autorità locali.
Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, 400 migranti, in buona parte giovani provenienti dall’Africa occidentale, avevano preso il mare dalla Libia. I trafficanti li avevano trattenuti nei pressi della capitale Tripoli e si erano fatti pagare 650 euro a testa. La sera del 7 febbraio, uomini armati li avevano trasferiti al porto di Garabouli, 40 chilometri a ovest di Tripoli, facendoli salire a bordo di quattro gommoni. Solo la mattina dopo, i migranti si sono resi conto di essere in grave pericolo.
La Guardia costiera italiana ha risposto all’Sos dell’8 febbraio inviando un velivolo da ricerca e quattro motovedette, due delle quali subito e le altre in seguito, a causa di un problema al motore di una delle prime.
Il direttore delle operazioni di ricerca della Guardia costiera ha parlato in modo franco delle limitate risorse a disposizione:
“Può immaginare cosa significa coprire quella distanza con un mezzo di 18 metri con onde alte otto o nove metri? Abbiamo avuto paura per la vita dei nostri equipaggi. Quando alla fine dell’inverno le partenze aumenteranno, non saremo in grado di prenderli tutti a bordo, se rimarremo gli unici a uscire in mare”.
Gli abitanti e le autorità di Lampedusa si stanno riprendendo dall’ultima di una lunga serie di tragedie del mare che hanno coinvolto la loro isola. La sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha dichiarato ad Amnesty International:
“Quando arrivano i morti, ci si sente sconfitti. Ci si chiede come mai non cambi niente. L’Europa è completamente assente, non c’è bisogno di essere esperti di questioni politiche per rendersene conto”.