di Eleonora Duranti
La stagione dell’Impressionismo dirompe in Francia con la medesima violenza di una palla di cannone. Un’esplosione che riporta alla luce i fantasmi e le incertezze della sconfitta di Sedan e dell’uscita di scena di Napoleone III, una figura insignificante, se paragonata a quella del suo più celebre predecessore. La Terza Repubblica sta ancora muovendo i suoi primi passi e avanza come un pesante pachiderma in equilibrio su una lastra di ghiaccio. Eppure, Parigi è un faro, visibile da ogni angolo del globo. Parigi resiste. Parigi, ancora una volta, risplende.
« Que puis-je vous offrir, monsieur ? »
Un’altra domanda. Per un altro avventore. Con un altro sorriso.
Anche questa sera, come ogni altra sera, il bar delle Folies Bergère brulica di gonne, guanti e tube perfettamente inamidati. Le signore volteggiano da una parte all’altra della sala con i loro piedini stretti in un paio di scarpette eleganti; i signori invece, dal canto loro, si sfidano, constatando, con aria superba, chi porti il cappello più alto, chi i baffi più curati e chi stia reggendo tra le dita il sigaro
più appagante.
Al di là del bancone, si staglia un regno di lustrini, di merletti, di lampadari di cristallo, di luci e di civetterie nemmeno troppo velate; al di qua, quasi per contrasto, si ha soltanto una stretta pedana che mi regala qualche centimetro in più e mi dà la triste illusione di poter avvicinare, se non addirittura dominare, tutto il ben di Dio che sfavilla davanti ai miei occhi.
Anche questa sera, come ogni altra sera. Il banco non è che una linea di confine tra me e le dame agghindate, tra me e i gentiluomini acculturati. Di là, il caotico universo borghese; di qua, il bisogno della classe proletaria. Di là, le chiacchiere, le smancerie, le futilità; di qua, le bottiglie, i guadagni, il dovere.
Di tanto in tanto, ho l’impressione che il grande specchio alle mie spalle mi sbeffeggi, riflettendo la miriade di figure abbigliate di tutto punto, i loro volti imbellettati, i loro sguardi languidi e i loro movimenti ammanierati. Non un ricciolo fuori posto, non uno stivaletto slacciato, non un polsino macchiato. Nulla a che vedere con le mie abitudini e la mia quotidianità. Tuttavia, è l’apparenza che conta e il mio bel vestito di velluto, questo mio cammeo, questi miei pizzi e questi miei orecchini di perla non sono che una brutta copia di quelli indossati dalle signorine in cerca di marito. Un marito rispettabile e con un’interessante rendita annua. Non uno qualunque.
Forse sono davvero una proiezione del frenetico e chiassoso cosmo parigino. Forse sono un fantoccio, simile a quelle marionette che animano la piazza del mercato, il sabato mattina.
Le ho sempre trovate tanto patetiche, sin da ragazzina…
« Bonsoir, mademoiselle… »
Mi riscuoto all’improvviso. Ho promesso al mio piccolo Louis-Auguste che sarei tornata presto. È lui il mio mondo adesso… E non lo baratterei mai con quello che, per un momento, ho creduto di anelare.
Inoltre, l’invidia non mi si addice…
« Que puis-je peux vous offrir, monsieur? »
Anche questa sera, come ogni altra sera.
Édouard Manet, Il bar delle Folies Bergère, 1881-1882. Olio su tela, 96×130 cm. Londra, Courtauld Institute of Art.
30 novembre 2020