Angela Finocchiaro nel suo labirinto

di Francesca Radaelli

Perdere il filo. Non c’è nulla di peggio quando ci si trova nel bel mezzo di un labirinto, reale o metaforico che sia. Il filo che dovrebbe ricondurre fuori, garantire la via d’uscita, riportare all’ingresso riavvolgendo la strada già percorsa. “Ho perso il filo”: ha gridato proprio questo, disperata, Angela Finocchiaro lo scorso weekend, dal palco del Teatro Manzoni di Monza, attraverso il titolo del suo ultimo spettacolo, diretto da Cristina Pezzoli e scritto da Walter Fontana.  

Il labirinto in questione è l’archetipo di tutti i labirinti, il labirinto del Minotauro, fatto costruire dal mitico re Minosse nell’antica città di Cnosso, sull’isola di Creta. Per cimentarsi con un ruolo diverso da quelli che è solita interpretare, l’attrice vi è entrata con indosso l’armatura di Teseo, l’eroe che il Minotauro dovrebbe ucciderlo. Ma una volta dentro, viene assalita e spogliata dalle selvagge creature danzanti del labirinto e si trova d’improvviso in un luogo diverso. Il labirinto mitologico diventa un labirinto contemporaneo, fatto di pareti su cui si materializzano domande e, di conseguenza, ricordi che tornano a galla.

E così il primo bacio, il rapporto con la madre, con il marito, con i figli, vengono evocati in modo ironico e tagliente, strappando al pubblico risate divertite ma anche, forse, qualche riflessione non banale. Perché il labirinto in cui si perde Angela, in fondo, altro non è che il mondo in cui viviamo oggi, immersi e forse imprigionati. Un mondo dominato da offerte telefoniche e carte fedeltà, in cui ogni ruga è una piccola tragedia. Un mondo in cui è impossibile essere eroi tutti d’un pezzo. Soprattutto se si scopre di non avere ben chiaro dove si sta andando. O in che direzione si deve andare per uscire dal labirinto.

Un mondo fatto di muri, ostacoli e barriere. Un labirinto in cui spesso ci si sente condannati all’ergastolo, proprio come il Minotauro. Ma anche un luogo in cui agiscono delle ‘creature’ che forse possono distruggerlo, questo labirinto–prigione. Sono i bravissimi danzatori acrobatici diretti dal celebre coreografo Hervé Koubi che, sulle musiche di Nicola Piovani, come in un risveglio di forze arcaiche, invadono la scena e travolgono la protagonista, spogliandola dell’armatura da eroe tanto quanto da qualche nevrosi contemporanea di troppo.

Lo spettacolo scorre in un’atmosfera davvero piacevole e divertente, reggendosi sullo stile comico inconfondibile della protagonista che, senza mai abbandonare l’ironia che la contraddistingue, sceglie questa volta di sperimentare, di mettersi alla prova in qualcosa di inedito, che non è solo teatro ma anche danza e gioco. L’esperimento, a giudicare dalla risposta del pubblico è decisamente riuscito.

Resta solo da affrontare il Minotauro. Un essere mostruoso e affamatissimo di carne umana. Almeno così dicono. Finchè non entra in gioco un gambo di sedano…

 

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