«Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte è Re»
Eraclito
Non si dà pace senza guerra e viceversa: sembra questo il modo inevitabile di affrontare la questione, ma la mostra propone un altro punto di vista: il contrario della guerra non è la pace ma il dialogo, il conflitto dominato, la dialettica. In che modo l’arte affronta un tema così rovente? L’arte è un’azione dell’uomo che interpreta l’aspirazione alla libertà di pensiero, di credo, di creazione, ed è agli antipodi di ogni tipo di violenza.
Dal 6 ottobre 2018, a Ravenna, una mostra impegnativa affronterà questo tema. Al Museo d’Arte fino al 13 gennaio 2119. Il linguaggio contemporaneo ha assunto ogni forma, dal quadro alla fotografia, dal wall drawing alla perfomance, divenendo uno degli strumenti di denuncia e di espressione più diffuso e trasversale, capace di addentrarsi negli scenari di guerra, di interpretarne l’energia vitale come di denunciarne gli orrori, o di connotarsi come puro atto di liberazione.
La mostra esplora questo tema anche attraverso opere che sondano la mitologia, strumentalizzata in ambito bellico o nata dalle guerre stesse: dalle scene di battaglia agli strumenti di offesa e tortura, dalla rappresentazione del potere e dei volti dei vinti, al vitalismo e al primitivismo come sublimazione delle profonde pulsioni che agitano l’animo.
Si tratta, perciò, di una mostra né “pacificatrice” né consolatoria, di un percorso espositivo volto a sottolineare la ricchezza, la fluidità, l’energia di poetiche differenti ma costantemente impegnate, mai dimentiche degli ostacoli che la realtà frappone alla realizzazione dei sogni, tanto più se si affidano a un irenico domani. Le scelte curatoriali di Angela Tecce e il punto di vista filosofico e letterario di Maurizio Tarantino si completano con l’intervento di Studio Azzurro: quattro installazioni creano un continuum, tra i diversi piani e livelli su cui si distribuisce la mostra.
Il fulcro dell’esposizione è costituito da un nucleo di artisti “storici” che hanno declinato le tematiche della guerra in modi diversi e financo opposti, dalla propaganda bellico-futurista di Marinetti a De Chirico che con I gladiatori, 1922, rilegge la violenza della guerra mondiale con il filtro di una classicità depurata ed eterna. Picasso con l’opera in mostra, Jeux des pages, 1951, torna a una riflessione sui disastri della guerra iniziata nel 1937 con Guernica e che si concluderà con le due grandi composizioni del 1952 intitolate La Guerre e La Paix.
I nostri due più grandi artisti del secondo Novecento, Lucio Fontana e Alberto Burri, esprimono con sensibilità diversissime la lacerazione che i danni del secondo conflitto hanno provocato prima di tutto nelle coscienze, cui si unisce la voce sonora e indignata di Renato Guttuso. Tre grandi temi che hanno ispirato la scelta degli artisti si intersecano ad ogni piano per rendere più fitta la trama della mostra: ai teatri di guerra fanno riferimento, tra gli altri, Christo, William Kentridge, Jake & Dinos Chapman, Gilbert&George, reporter dei conflitti urbani, Alfredo Jaar e Robert Capa.
I vecchi e nuovi miti aleggiano nell’opera di Robert Rauschenberg, nel denso e magmatico mare di Anselm Kiefer, nella denuncia di Fabre (nascosta sotto una coltre cangiante), nel dramma silente del lavoro di Jannis Kounellis in Andy Warhol e Hermann Nitsch, mentre sono esercizi di libertà le opere di Mimmo Paladino, Marina Abramović, Michelangelo Pistoletto, Emilio Isgrò.