di Francesca Radaelli
“Il primo genocidio del XX secolo”. Così qualche settimana fa papa Francesco ha definito il massacro degli Armeni attuato il 24 aprile del 1915 dal governo dei Giovani Turchi. Le parole del papa, stigmatizzate dall’attuale governo turco, hanno dato il via a una serie di pronunciamenti sulla questione da parte delle istituzioni di vari paesi del mondo, riportando sotto i riflettori un capitolo della storia contemporanea a lungo dimenticato. Forse, al di là delle polemiche e delle prese di posizione, la cosa più utile è proprio provare a ricordare cosa accadde al popolo armeno.
Quel 24 aprile 1915, di cui ricorre oggi il centesimo anniversario, ebbero luogo i primi arresti di personaggi di spicco dell’elite armena in Turchia, cui sarebbe seguita la deportazione ed eliminazione sistematica della popolazione armena residente nel Paese. La questione armena era iniziata quando, a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, era cominciata la disgregazione dell’Impero Ottomano. In quelle circostanze, mentre a diverse altre minoranze, tra cui Greci, Bulgari e Rumeni, fu concessa l’indipendenza, il governo rifiutò di acconsentire alle richieste degli Armeni, ben deciso a non privarsi di importanti parti di territorio. Gli Armeni, cristiani, attirarono su di sé l’odio di altre componenti dello stato turco – come i Curdi di religione islamica – e tra il 1894 e il 1895 scoppiarono vere sommosse popolari contro di loro, provocando oltre 100mila morti. Allo scoppio della prima guerra mondiale, il governo si schierò a fianco della Germania e gli Armeni di Turchia si trovarono a combattere contro gli Armeni di Russia: come prevedibile, molti di loro disertarono.“Avendo i nostri concittadini armeni adottato da anni per istigazione straniera molte perfide idee tali da turbare l’ordine pubblico, avendo osato unirsi agli attuali nemici in guerra contro il nostro impero, il nostro governo si è visto costretto a prendere delle misure straordinarie per garantire l’ordine e la sicurezza del paese”: inizia così uno dei bandi con cui il governo turco annuncia nel giugno 1915, nella città di Trebisonda, l’inizio della deportazione armena, fortemente voluta da Enver Pascià, l’allora ministro della guerra. Per il trasferimento nelle zone periferiche dell’impero agli Armeni erano lasciati cinque giorni di tempo: raggruppati nella città di Aleppo, venivano smistati nelle carovane che percorrevano i deserti di Mesopotamia e Siria. Si tratta delle celebri ‘marce della morte’, durante le quali erano in molti a perdere la vita, stroncati da fame, malattie e maltrattamenti da parte delle autorità. Un destino simile attendeva quelli che giungevano nei campi di concentramento predisposti dal governo.
Secondo le stime più accreditate le vittime del massacro superarono il milione di persone, ovvero la metà degli Armeni residenti nell’impero ottomano allo scoppio della guerra. Seguì la cosiddetta ‘diaspora armena’, diretta verso Francia e Stati Uniti e la creazione, dopo la seconda guerra mondiale, di un Repubblica d’Armenia in territorio sovietico, che poi nel 1990 ottenne l’indipendenza.
Un genocidio, quello degli Armeni, che, a 100 anni dal suo inizio, è ignorato da molti, rinnegato dalla Turchia e riconosciuto come tale da diversi governi. Si trattò di un’eliminazione sistematica e organizzata dal potere centrale, che, secondo diversi storici, costituì un precedente inquietante per il più esteso, e anche più ricordato, genocidio del popolo ebraico nella Germania di Hitler.
“Chi parla oggi del massacro degli Armeni?”, disse proprio il Führer alla vigilia dell’invasione della Polonia. Parole decisamente sinistre, se si pensa a tutto ciò che è avvenuto dopo. L’idea era che la creazione di un nuovo ordine mondiale non poteva prescindere dall’eliminazione di interi popoli. Dopotutto lo sterminio degli Armeni era stato dimenticato già pochi decenni dopo essere stato attuato con estrema facilità e senza andare incontro ad alcuna punizione.
“Ricordare le vittime di questo massacro è necessario, anzi, doveroso”, ammonisce oggi il papa, “perché laddove non sussiste la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla”.
Qui sotto, il trailer del film ‘La masseria delle allodole’, per la regia dei fratelli Taviani, tratto dall’omonimo libro della scrittrice armena Antonia Arslan che racconta la tragedia del suo popolo.