“Consapevolezza del gesto” e anche “forza interiore”. Due significati dello stesso termine cinese: Jing Shen”.
La variazione di un singolo tono o contesto varia il significato. “Jing Shen. The act of painting in contemporary China” è il titolo della mostra (fino al 6 settembre 2015) al PAC, il Padiglione d’Arte contemporanea di Milano.
Già il titolo annuncia la complessità e la serietà dell’esposizione.
E mantiene le promesse. I curatori spiegano che nella cultura cinese la pittura ha un ruolo eccezionale, scrivere in quel paese significa dipingere. E dalla rivisitazione della scrittura con gli eleganti ideogrammi parte un percorso inedito per chi è abituato a pensare all’arte contemporanea cinese come espressione pop, come spesso vediamo in tante fiere anche importanti come Maastrict o Bologna.
La ricognizione che qui viene presentata va oltre i ritratti di Mao o le faccine sorridenti o ingrugnate di tanta pittura made in China. Venti artisti – la maggioranza continua a vivere a Pechino piuttosto che a Shangai – di tre diverse generazioni del secondo dopoguerra dimostrano quell’assunto e spiegano quanto l’arte classica cinese sia ancora molto presente nel lavoro dei pittori contemporanei. Scrittura e pittura hanno un’influenza tanto pervasiva da affiorare e informare di se’ non solo tele e carta, ma anche installazioni, performances, scultura, video, opere digitali.
Lin Ke, classe 1984, è la dimostrazione più evidente. Il suo lavoro è al piano superiore del PAC: come in una cabina di pilotaggio, con visori multipli collegati a internet punteggia lo schermo con rapidi click sul mouse. Tratteggia percorsi , forse nello spazio, in un mondo comunque in movimento. Linee infinite., le stesse che ritroviamo sulla carta dipinta con un pennello di un solo crine da Li Huasheng, classe 1944.
E’ uno degli artisti più celebrati della nostra epoca. La sua tela sembra un ordito, un insieme di fili, un ricamo infinito. Come Ding Yi, classe 1962, che disegna e dipinge “+” e “x” all’interno di griglie, senza mai modificare nulla.
Guo Hongwei, classe 1982, ripete anche lui segni e forme, ma modificandoli attraverso la luce. E’ un trittico quello che ha dipinto appositamente per la mostra milanese. Tre tele scure di grandissima suggestione….
La mostra, realizzata in collaborazione con l’Istituto Confucio dell’Università Statale di Milano, è parte delle iniziative legate ad EXPO, una sorta di “nutrimento Intellettuale”.
Oltre al Pac, vi suggeriamo – se avete la possibilità – di visitare a Malpensa l’installazione di Wang Gongxin e alla libreria Feltrinelli Duomo il video di Chen Shaoxiong. E con la startup Bepart la mostra è virtualmente a portata di tutti.
Daniela Annaro