C’è un’opera che più di altre racconta di Artemisia Gentileschi. Una tela premonitrice, per così dire.
“Susanna e i vecchioni”, ora conservato nella collezione Schonborn di Pommersfelden. Un tema affrontato più e più volte da tanti maestri, ne citiamo uno per tutti, Paolo Caliari, detto il Veronese.
Artemisia Gentileschi dipinge questa tela nel 1610 come dimostra la sua firma scritta nel marmo dipinto :”ARTIMITIA GENTILESCHI F 1610″ ( F per fecit). Artemisia, che oggi celebriamo, a quel tempo ha 17 anni, nasce a Roma l’8 luglio del 1593. E’ all’età di 17 anni, nel maggio del 1611, che Artemisia Gentileschi è violentata dal pittore Agostino Tassi.
Un marchio di infamia che segna la sua vita ( e anche oltre).
Difficile non parlarne neanche oggi, a quasi cinquecento anni dalla sua morte, avvenuta a Napoli nel 1653. Lei tra le poche, pochissime, artiste di sesso femminile la ricordiamo per il coraggio con cui ha denunciato la violenza. E’ il padre Orazio a voler quel processo nel tentativo di ricostruire l’onore della figlia. Ciò la dice lunga sul destino delle donne e della loro vicenda umana e professionale.
Artemisia è probabilmente più brava del padre Orazio dal quale impara l’arte, a quel tempo le donne non potevano frequentare nessun bottega né accedere ai mestieri. Il padre, racconta Melania Mazzucco ne “Il museo del mondo”, edito da Einaudi, incoraggia le ambizioni della figlia.
Già nel 1609 conclude l’apprendistato. Si dice che ne “Susanna e i vecchioni” Orazio l’aiuti a migliorare l’opera. Sta di fatto che lo stupro, il successivo processo, con le domande ignobili che le rivolgono ( come, peraltro, accade anche oggi con modalità poco differenti) sono diventate più importanti della sua arte. Artemisia ne esce sconfitta, Agostino Tassi subisce una lieve condanna. Segna la sua vita tanto da diventare un eroina per il mondo femminista.
Non sappiamo quanto questo le abbia giovato.
Di certo possiamo dire che nel 1616, a Firenze, prima donna fino a quel momento, viene accettata nella prestigiosa “Accademia delle Arti e del Disegno”. Lavora per i Medici, è amica di Galileo Galilei, a Roma entra a far parte dell’ Accademia dei Desiosi rinnovando la sua pittura secondo il gusto dei tempi. A Napoli ottiene successo come a Londra alla corte di Carlo I, dove lavora il padre. Allo scoppio della guerra civile, rientra in Italia e torna a Napoli.
Suo mentore e collezionista è don Antonio Ruffo di Sicilia. Alla luce delle precedenti considerazioni, conosciamo meglio i suoi dipinti con soggetti femminili perché avvertiamo tutto il dolore e il senso di rivalsa: Susanna, Lucrezia, Maddalena, Cleopatra e Giuditta, donne della storia, del mito e della Bibbia che hanno subito e reagito alla violenza. Ma né Artemisia, né altre pittrici né tantomeno pittori, nel passato come nel presente, hanno mai raccontato come finì, secondo le Sacre Scritture, la vicenda di Susanna oltraggiata dai vecchioni.
Il profeta Daniele punisce i calunniatori, cioè i morbosi vecchietti. Giustizia è fatta. Ma chissà perché nessuno ha sentito il bisogno di rappresentare il proseguo della storia.
Daniela Annaro