di Giacomo Orlandini –
Dopo aver dedicato un’importante rassegna ai pionieri del graffitismo, il Mudec di Milano torna a omaggiare la street art ospitando fino al 14 Marzo una non-mostra di Banksy che, come tutte le altre dello stesso, non è stata approvata dall’artista.Banksy è uno degli artisti più famosi e controversi del panorama contemporaneo, protagonista di un vero e proprio dibattito in merito alla sua identità. La sua strategia di voler lavorare nell’ombra è una condizione necessaria e irrinunciabile per sfuggire ad ogni tipo di controllo ed essere veramente libero: sull’invisibilità Banksy ha costruito la sua popolarità.
Noto soprattutto per i dipinti su strada, Banksy ha utilizzato diverse modalità per sviluppare la sua concezione di arte come protesta e disubbidienza al sistema. Nei soggetti dei murales, nei dipinti e nelle stampe l’artista inserisce sempre una nota spiazzante riuscendo così a catturare l’attenzione e a indurci a osservare in maniera più approfondita ciò che abbiamo di fronte per comprenderne il significato. Ciò che conta per Banksy, in definitiva, non è tanto la forma quanto il messaggio.
Nonostante ciò è riuscito a creare, a livello formale, un linguaggio personale immediatamente riconoscibile e multiculturale, grazie soprattutto all’impiego della tecnica dello stencil, inizialmente adottata per la sua rapidità e in grado di scongiurare l’intervento della polizia. I suoi messaggi di protesta sono un’aperta provocazione che prende di mira la contraddittorietà della società occidentale. Le sue metafore e l’approccio satirico sul mondo in cui viviamo giungono diretti e colpiscono al cuore, soprattutto le giovani generazioni.
Situazionismo e i writers di New York degli anni ’80 furono i movimenti che, con una forma di protesta visiva attraverso la fusione di parole e immagini, hanno ispirato maggiormente l’arte di Banksy. Di questi l’artista condivide il détournement, cioè il plagio in cui sia la fonte sia il significato dell’opera originale vengono sovvertiti per creare un nuovo lavoro.
L’allestimento della mostra è suddiviso per temi. Di questi, il primo che viene trattato è la ribellione. Se il potere esercita la propria egemonia culturale in televisione, cinema e pubblicità, lo street artist mette in atto la sua contro-egemonia nella strada. Tra i protagonisti di questa sezione grande spazio è riservato ai topi: metafora dei writer che si muovono nottetempo nelle città per marchiare muri, cancelli e serrande con i loro graffiti.
Si prosegue con il tema della guerra e delle logiche che la producono. L’irriverente protesta di Banksy prende di mira l’industria bellica con una satira pungente che non risparmia governanti e membri della famiglia reale. La Regina Elisabetta viene ritratta con la maschera antigas per denunciare il coinvolgimento britannico nella seconda guerra del Golfo, e Winston Churchill ridicolizzato con una cresta punk fluorescente.
La mostra si chiude con il tema del consumismo nel mercato dell’arte e nella vita quotidiana, a cui sono dedicate le opere forse di più grande impatto. I lavori dell’artista suscitano una profonda riflessione sulle dinamiche sociali che rendono l’individuo sempre più incline all’acquisizione di beni materiali, generando un’aspettativa di felicità che viene sempre disattesa, e che tuttavia crea dipendenza, come mostrano le figure disperate in ginocchio davanti al cartello che recita “oggi fine dei saldi”.
Ogni writer vorrebbe essere come Banksy: lavori sorprendenti, che sono un misto di cruda denuncia del sistema e di tenerezza. Come si conviene a un grande artista, invisibile e imprendibile, come uno spirito folle.