Barack Obama conquista la Casa Bianca

Barack_Obamadi Francesca Radaelli

Un afroamericano alla Casa Bianca, per la prima volta. Era il 5 novembre 2008 e Barack Obama vinceva le elezioni americane, diventando il 44esimo presidente degli Stati Uniti. Un avvenimento che segna un punto di svolta nella storia americana, preparato da una lunga campagnaelettorale all’insegna del cambiamento e dello slogan, orma divenuto quasi proverbiale, “Yes we can”.

Quarantasette anni al momento della sua elezione, Barack nasce alle Hawaii, da madre americana e padre originario del Kenia, frequenta prima la Columbia University e poi Harvard, e intraprende la carriera di avvocato. Nel 1992 inizia la sua attività politica all’interno dei Democratici, nel 1996 viene eletto al senato dell’Illinois e nel 2004 al senato federale. Iniziano a circolare voci di una sua possibile candidatura alle elezioni presidenziali, finché il 10 febbraio 2007 Obama annuncia ufficialmente la propria discesa in campo. Ma il senatore dell’Illinois non è ancora ufficialmente il candidato del suo partito alla Casa Bianca e deve passare attraverso le primarie dei Democratici.

Gli altri candidati sono John Edwards e soprattutto Hillary Clinton, moglie dell’ex presidente Bill. Sono primarie davvero avvincenti, su cui sono puntati gli occhi di tutto il mondo. Appare chiaro, infatti, che il loro esito, qualunque sarà, avrà una portata storica: se vincerà Hillary, sarà la prima candidata donna alla presidenza degli Stati Uniti, se vincerà Barack, si tratterà del primo afroamericano a concorrere per la Casa Bianca.

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Ed è proprio Obama a ottenere il successo maggiore: è giovane e brillante, incarna per molti americani la possibilità di un cambiamento e di un riscatto. Il suo programma è incentrato sul sostegno dell’occupazione, sull’alleggerimento fiscale per famiglie e imprese, sull’introduzione di forme di welfare come l’assistenza mutualistica, sugli investimenti pubblici nelle infrastrutture e nella produzione di energie rinnovabili.

E proprio “Change, yes we can” diventa lo slogan della sua campagna elettorale, anche grazie al video musicale, il cui titolo è proprio Yes We Can, pubblicato online il 2 febbraio 2008 dal rapper will.i.am e realizzato con la collaborazione di numerose celebrità le cui apparizioni sono intervallate nel video da stralci del discorso di Obama per le primarie del New Hampshire. Il brano si diffonde in maniera virale in rete e contribuisce ad accrescere la popolarità di Obama. Il 7 giugno, dopo gli appoggi da parte di molti superdelegati, anche Hillary Clinton, rimasta ormai l’unica diretta rivale alla nomination democratica, dà il suo endorsement e si ritira dalla competizione.

Barack Obama diventa così ufficialmente il candidato democratico alla presidenza, e si trova ora di fronte il repubblicano John McCain. I due visti uno di fianco all’altro non potrebbero essere più diversi. Da una parte il primo afroamericano a correre per la Casa Bianca, che promette un cambiamento rispetto al governo uscente di George W. Bush e per molti incarna una speranza che ora sembra davvero potersi attuare. Dall’altra un anziano eroe del Vietnam, che rappresenta un passato che forse l’America, reduce dalla spedizione in Iraq voluta da Bush, vuole dimenticare.

Barakobama

Il 5 novembre Obama ottiene la vittoria, anche grazie alla conquista di diversi Stati che nel 2004 si erano schierati con Bush, tra cui Florida, Carolina del Nord, Virginia, Ohio, Indiana, Iowa, Colorado, Nuovo Messico e Nevada.

Fu vero cambiamento? E’ quello che ci si chiede ora, a sei anni dalla prima elezione di Obama, e a due dalla sua rielezione nel 2012. Il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti ha dovuto fronteggiare una pesante crisi economica e questioni di politica estera tutt’altro che semplici da gestire, prendendo misure spesso molto criticate a livello nazionale e internazionale, come l’invio di altri 30mila soldati americani in Afghanistan ed Iraq, dopo essersi dichiarato contrario alle spedizioni promosse dal suo predecessore Bush. Anche la sua gestione delle emergenze nei paesi islamici ha suscitato più di una critica a livello internazionale.

Oggi il Premio Nobel per la Pace assegnatogli nel 2009 appare forse un po’ troppo prematuro, come è stato peraltro riconosciuto, all’epoca, dallo stesso Obama, decisamente sorpreso da un’onorificenza arrivata a meno di un anno dalla sua elezione.

Ma in ogni caso il 5 novembre di sei anni fa rappresenta una svolta importantissima nella storia americana. Se, malgrado una questione razziale tutt’altro che risolta – basti pensare ai recenti fatti di cronaca e agli scontri seguiti all’uccisione di un ragazzo afroamericano da parte della polizia in Missouri -, l’America è stata capace di eleggere un presidente nero, di fidarsi di lui e credere nei suoi discorsi, allora forse il cambiamento è davvero possibile. In questa prospettiva l’elezione di Barack Obama ha una portata storica simbolica innegabile. Che rimane un punto fermo, al di là della discussione, aperta, sull’efficacia delle sue decisioni politiche.

 

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