di Enzo Biffi
Il palazzo più alto del quartiere si riempì di lavatrici e televisioni in bianco e nero. Poi vennero i tramonti mai visti da così in alto, da offrire ai primi inquilini. Gente del posto che abitava li sotto in case di ringhiera, con bagno in comune e tramonti bassi. Gli anni sessanta iniziarono così, alti i palazzi, alti i consumi e alto l’ottimismo.
Poi venne il settanta, e dalle case iniziarono a uscire profumi sospetti, perfino buoni osava dire qualcuno, ma sospetti restavano. Sui citofoni strani cognomi nascevano ogni giorno e sciami di bambini assaltando al mattino gli ascensori confondevano naturalmente odori e cognomi, mentre i grandi si studiavano dalle finestre. Allora furono ricette condivise, un misto di risotti milanesi e passate di pomodoro, melanzane sott’olio e funghi porcini. Nelle sere d’estate dai balconi, diventati vivaci, un vociare curioso riempiva le ore. Una specie di dialetto universale piano piano smontava i confini immaginari della diffidenza. L’Italia, piano piano si univa.
Mia zia abitava già lì e spesso la sentivo dire con tremante e lieve imbarazzo – sono brava gente in fondo- quasi avesse timore nel constatarlo. Troppo spesso una specie di corto circuito del pregiudizio ci induce a precisare, quasi a giustificare a noi stessi, l’ovvietà delle cose.
Passarono i decenni e altri odori il palazzo imparò ad assorbire, altri cognomi (forse solo più esotici) il citofono si trovò ad ospitare e tutto come già accaduto ricominciò. Le diffidenze divennero incontro, le lingue mischiarono i vocaboli, sulle tavole apparecchiate il kebab divenne il dono per un favore fatto alla vicina e le lasagne furono festa grande al compleanno del bimbo turco, rumeno e senegalese.
Tutta la storia del mondo passa dal mio palazzo come un vento normale, ovvio e scontato, con la fatica dell’incontro, il miracolo della conoscenza, e l’incanto della contaminazione che ne deriva.
Mia zia, 84 anni, abita ancora lì, il vicino di Catania ha lasciato casa a una coppia di afgani. Hanno bambini simpatici e quando li trovo in casa sua lei poi mi dice –sono brava gente in fondo -.
Allora mentre la saluto e scendendo per le scale attraverso odori di spezie e vociare di dialetti misteriosi, mi chiedo: se perfino mia zia l’ha capito, dove mai alberga tutta la diffidenza di chi ancora non lo capisce?
Brava gente, in fondo.