Carlo Carrà, anarchico e ribelle

 di Daniela Annaro

I funerali dell’anarchico Galli (qui sotto) è forse l’opera del periodo futurista più bella e famosa di Carlo Carrà, nato a Quargnento (Alessandria) l’11 febbraio 1881. L’opera è ora a New York, al MOMA. E questa tela racchiude tutto il ribellismo dell’artista che ben si concilia con l’animo dei firmatari

del Manifesto tecnico della pittura futurista pubblicato lo stesso giorno del suo trentesimo compleanno, l’11 febbraio 1911. Oltre a Carrà, lo firmarono Boccioni, Balla, Severini e altri.

« Vedevo innanzi a me la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare minacciosamente sulle spalle dei portatori; vedevo i cavalli imbizzarriti, i bastoni e le lance urtarsi, sì che a me parve che la salma avesse a cadere da un momento all’altro in terra e i cavalli la calpestassero»

Così racconta  egli stesso ricordando quell’avvenimento durante il quale ci furono violenti scontri tra la polizia e i manifestanti. Carrà rimase come folgorato dalla forza eversiva dei Futuristi. Nel ’15, all’entrata in guerra dell’Italia, lui fu tra più accaniti sostenitori dell’interventismo. A quella data,però,  si era già allontanato dal movimento. Si era avvicinato al gruppo fiorentino de La Voce, scrivendo di Giotto e di Paolo Uccello. Scritti significativi che segnano il suo passaggio a un’altra importante stagione della pittura del Novecento, la Metafisica di De Chirico e Savinio. L’anno è il 1916.

La conversione si spiega: più anarchico che rivoluzionario, Carrà capisce che la Metafisica, col suo ostinato silenzio, è più estremista del Futurismo col suo chiasso polemico.Ma ha vissuto la burrascosa esperienza futurista e quando giunge alla Metafisica con l’animo pieno di furori polemici non può mettersi nella posizione di impassibilità di De Chirico. (Giulio Carlo Argan).

E quel furore di cui parla Argan è terribilmente legato alla sua natura, al suo voler essere partecipe e protagonista della storia ( anche quella dell’arte). Ed è così’ che incrocia il gruppo del Novecento legato a Margherita Sarfatti, per poi passare a Valori Plastici (1920).

E’ in gran parte dell’Europa il momento del “Ritorno all’ordine” che affascina perfino  Picasso. E’ il superamento delle Avanguardie, e nel contempo,  l’avvicinarsi ad artisti come Cezanne e Seurat,  che, in diverso modo, interpretano la classicità di maestri come Piero della Francesca e il suo senso della spazialità.

Per me… non si può parlare di espressione di sentimenti pittorici senza tener calcolo soprattutto di questi elementi architettonici che subordinano a sé tutti i valori figurativi di forma e colore.

Scrive egli stesso nella sua autobiografia nel 1945. Morirà a Milano il 13 aprile del 1966.

 

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