Non si può aspettare Natale senza leggere una storia al sapore di zenzero, davanti al fuoco del camino. Abbiamo preso in prestito dal sito Suppost-it un racconto natalizio. «Lo sbarco» è una storia inedita, nata dalla penna di Francesca Fornaciari che negli ultimi due anni ha ascoltato tante storie di ragazze e giovani madri rifugiate. Quello che ha sentito rivive in questo racconto natalizio che, anche sotto l’albero, emoziona e fa pensare.
Fu qui, che per la prima volta sentii la parola Natale. Camminavo per le strade incantata. Davanti al mio naso, così poco abituato al freddo pungente invernale, si stava compiendo una magia. Luci. Stelle. Brillanti e fisse, incagliate, annodate, naufragate tra rami di alberi. Lampeggiavano a intermittenza, non si capiva se per chiedere aiuto e per la gioia, io pensavo fossero quasi vive.
La luce. La luce vera, stava sugli alberi.
Per le strade, nella piazza, attorno ai pali queste decorazioni luminescenti mi ipnotizzavano con una forza che alle persone del posto sarà sembrata sciocca e fuori luogo.
All’interno delle case – le cui porte erano spesso socchiuse e alle cui finestre le tende non erano tirate – mi piaceva scorgere altrettanti alberi decorati, con palline, fiocchi e oggetti piccoli e luccicanti d’ogni sorta. Non capivo in realtà cosa tutto questo significasse, ma l’avevo associato a quella parola, Natale, che non conoscevo. Aveva un suono che mi piaceva.
Camminavo per piccoli vicoli di un paesino arroccato sul mare che di notte era solo luci e festoni. Mi aggiravo incerta, ancora totalmente all’oscuro di ciò che il destino avrebbe avuto in serbo per me. Tuttavia quelle luci erano come un faro, un collegamento con la mia terra. Mi ripensavo fuori dalla mia casa, la notte, ad osservare il cielo puntellato di piccoli fuochi lontani – cosa avevano questi di diverso? A me ricordavano terribilmente quelli del mio cielo.
Ancora oggi, che sono passati due anni, io faccio fatica a parlare di quell’inizio di viaggio che mi ha portata qui, e non riesco a ricordare molte delle cose brutte che ho visto o forse, più semplicemente, la mia mente non vuole. Oggi sono passati due anni da quel 23 dicembre in cui arrivai su quest’isola, e non sapevo il perché delle luci, della gioia, e degli angeli dalle coperte luccicanti. Oggi ho scoperto cosa vuol dire Natale, e cosa questo significa per la religione delle persone di qui. Sono passati 2000 anni – mi hanno detto – e forse anche di più dalla nascita di quel bambino salvatore, così povero e simile a tanti bambini del mondo.
Sono passati 2000 anni e la terra è così diversa, così disattenta, così spesso inconsapevole di cosa realmente festeggiano quelle luci colorate, quei regali, quei nastri. Io però sono sicura di una cosa, che qui, in questo piccolo comune siciliano, arroccato sul mare, barche cariche di vite, di storie, di dolori, di guerre, di malattie, arrivavano due anni fa, sbarcano oggi e attraccheranno anche domani. E non posso dire di altri posti, ma qui si festeggia il Natale, per me, più vero.
E allora mani si stringono e non importa il colore, regali si donano e non importa che siano ben impacchettati o solo biscotti sfusi e tè caldo; e le luci impazzano e non importa che siano di alberi o di navi in lontananza della guardia costiera.