di Marco Riboldi
Un paio di anni fa scrissi questo pezzo per una iniziativa che si intitolava più o meno “ricorda un’estate”. Poi per vari motivi non uscì. Lo ripropongo qui tale e quale, salutando quella estate lontana e quella da poco trascorsa.
Talvolta a restarmi in mente erano gli occhi: vivaci, ammiccanti, mai sfuggenti, capaci di leggere le sfumature del mio viso, del mio comportamento, del mio sorriso.
Che estate quella estate!
“e dopo, cosa ha intenzione di fare?”
…e con questa domanda era finita.
Il liceo, cinque anni di amicizie e ansie, di risate e di studio, di amori e di lotte studentesche ormai era alle spalle. Iniziava la più lunga e tranquilla estate della mia adolescenza (niente studio per l’accesso alla università: il numero chiuso non era ancora in vigore).
Con gli amici di sempre ci eravamo organizzati sognando una vacanza un po’ diversa dal solito. Trovato un buon indirizzo per campeggiare, accompagnati dal timore dei genitori, via per un lungo viaggio italiano verso la Puglia. Un paio di automobili, tanti viveri, molte sigarette, le canzoni, soldi pochi, ma sufficienti, mettendo in comune le spese.
Le amicizie, si sa, a vent’anni contano più di tutto e noi eravamo lì a goderci la nostra amicizia: il resto sarebbe venuto da se’.
Talvolta invece erano le mani: sempre protese verso di me, sempre pronte a ricercare un’abbraccio, ad offrire una carezza, sempre aperte, sempre disposte all’affetto.
Del viaggio che dire? Più risate che chilometri, più parole che litri di benzina, nella voglia di arrivare e di conoscere le persone che ci attendevano.
I nostri bagagli da campeggiatori, con l’ amico più abile in queste cose a dirigere il lavoro di montaggio di grandi tende, con la costruzione di una serie di attrezzature che rendessero più comoda la nostra permanenza nel grande campo attiguo la casa che ci aveva concesso in uso il terreno, con le espressioni non proprio ortodosse ad ogni inevitabile inconveniente…ma, si sa, a vent’anni la lingua conosce parole che poi non si useranno mai più, almeno pubblicamente. (Beh, almeno allora era così e nessuno avrebbe utilizzato in pubblico le parole che oggi sentiamo e leggiamo ovunque).
Poi gli incontri: sapevamo che avremmo conosciute persone nuove e diverse dai nostri abituali amici, ma non potevamo immaginare fino in fondo come sarebbe andata.
Ma chi ha timori dei nuovi incontri, a quell’età?
Altra questione da risolvere: come organizzare la vita domestica? Pasti, pulizia della tenda comune ecc… Ma ovvio, come a militare. Corvée cucina, corvée piatti ecc. E che vuoi che sia? Esiste un italiano che non sappia cucinare decentemente un piatto di pasta e un secondo con contorno? (Scoprimmo che ne esiste più di uno).
Talvolta invece era il sorriso: in certe mattine chiaro come la stessa luce che allagava il giorno, in altri momenti incerto e timoroso, come a scrutare l’effetto provocato in me, in certe serate malinconico e nostalgico, come a tentare di prolungare il giorno trattenendolo con la dolcezza di due labbra dischiuse.
E naturalmente il mare, con il suo contorno di relax, di ozio in spiaggia, di pesca sugli scogli: avevamo scoperto che per catturare senza troppa difficoltà i polipi, allora molto abbondanti, bastava una lenza con una zampa di gallina legata in fondo e uno straccio a far da richiamo. Attratti irresistibilmente, i polipi si aggrappavano alla zampa e venivano facilmente catturati: molti nostri pasti di quell’estate furono a base degli sfortunati animali.
Insomma una grande estate, in cui ci fu posto per tutto: per le risate e per le bevute in compagnia, per le grigliate e per le serate attorno ad una chitarra, per fugaci, dolci flirt estivi, per un viaggio all’estero e per tanta amicizia.
E soprattutto per gli occhi, le mani, i sorrisi di quei bambini disabili che abitavano la casa-famiglia che ci aveva concesso di usare il campo vicino. Un incontro sconvolgente, che ci portava a trascorrere ore intensissime con loro, aiutando come potevamo (con poca scienza, ma con tanta buona volontà) le persone che li assistevano.
Quegli occhi, quelle mani, quei sorrisi hanno costituito quell’estate, più del canto, più delle risate, più dell’amore. Non so bene come tracciare un bilancio del mio tempo trascorso, ma il meglio di me lo ritrovo in quella estate, con quei bambini.