A che punto siamo della crisi. Seconda parte

Alberto BerriniIntervista ad Alberto Berrini, economista. Seconda parte.

di Fabrizio Annaro

Ci sono le condizioni per una svolta?

Siamo di fronte a cambiamenti epocali  di natura ambientale che potrebbero tradursi in “un’era della scarsità”, soprattutto per quanto riguarda le risorse energetiche e i beni agricoli.

A proposito di questi ultimi, la FAO ci ricorda che nei prossimi quarant’anni il mondo ha bisogno di investire ben 83 miliardi di dollari l’anno ed accrescere la produzione agricola del 70%, se si vuole garantire cibo sufficiente a sfamare una popolazione che nel 2050 supererà i 9 miliardi. Nel frattempo, lo squilibrio tra domanda e offerta nei listini alimentari, provoca l’aumento dei prezzi  con effetti sociali devastanti.

“Le persone che non hanno cibo a sufficienza –  avverte Josette Sheeran, executive director del Word Food Programme – hanno solo tre opzioni a disposizione: la rivolta, l’emigrazione o la morte. Le cronache di questi ultimi anni, anzi giorni, ci dicono che tutte e tre queste opzioni vengono sempre più utilizzate.

Dobbiamo essere pessimisti?

Tralasciando la questione ambientale, che richiederebbe una trattazione specifica, le sfide principali e più generali sono senza dubbio: il lavoro, la distribuzione dei redditi,  il delicato, quanto difficile, rapporto tra finanza e democrazia.

Il lavoro?

E’ il dramma di tutte le economie avanzate. Nessuno è oggi in grado di risolverlo: non gli Stati Uniti, non i Paesi europei. Il problema dell’occupazione può essere solo risolto con profonde e radicali riforme dell’intero sistema capitalistico. La politica viene chiamata a rompere schemi consolidati, a tentare svolte coraggiose e anche a rischiare qualche salto nel buio, proprio mentre quasi tutte le democrazie liberali dell’Occidente vivono processi di sfaldamento sociale e un indebolimento di tutti i poteri.

La distribuzione dei redditi.

E’ noto che la finanza ha giovato particolarmente alle classi ricche. E’ paradossale che questo spostamento di ricchezza, iniziato negli anni ‘80 in quasi tutto il mondo capitalistico avanzato, sia stato realizzato con il consenso elettorale di chi, invece, è diventato più povero. Magia della comunicazione e del potere?  Anche qui spetta alla politica stabilire le politiche fiscali e monetarie che incoraggino una distribuzione più equa. Se molti diventano poveri e pochi ricchissimi, lo sviluppo economico e la coesione sociale sono a rischio.

Finanza e Democrazia: la speculazione condiziona l’operato dei governi?

I grandi capitali che con un clic determinano crisi e svalutazione dei debiti sovrani,  hanno un enorme potere di ingerenza negli affari politici di uno Stato. In Italia lo viviamo costantemente e nel novembre 2011 abbiamo rischiato un default.  Gli uomini del capitale finanziario puntano a creare una società senza regole, dove la politica è esclusa e dove loro stessi diventano i fautori del governo economico e del futuro di una nazione.  Pensiamo alla Grecia, al Portogallo, alla Spagna, all’Irlanda. Attualmente il potere finanziario sfugge al controllo democratico. Una nuova politica economica non può, dunque, prescindere, per essere efficace nel perseguire i suoi obiettivi,  dal porre rimedio a questo sbilanciamento di potere.

Segue. La terza ed ultima parte il 4 dicembre

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