Chi ha “ucciso” l’ horror italiano?

di Mattia Gelosa

Difficilmente troverà risposta questa domanda: bisognerebbe fare una vera e propria indagine di tipo quasi poliziesco per scoprirlo e chissà che, in futuro, non mi venga proprio in mente di vestire i panni del detective cinematografico.

La riflessione, però, è legittima: i cartelloni degli ultimi mesi hanno visto una forte presenza di pellicole thriller/horror di grande successo e ancora la scia non si è fermata. Per gli amanti del genere legato a possessioni e demoniaco abbiamo “The Witch”, che indaga l’influenza della superstizione nelle origini della stregoneria fra i coloni americani, o la sopresa “It follows” di David Robert Mitchell, applaudito ovunque nel mondo. A breve, inoltre, arriverà il sequel di “The Blair Witch Project”, il cult che ha lanciato il mockumentary, ossia il documentario simulato. Tiene banco nelle sale anche “The cell”, ultima opera derivata da un romanzo di Stephen King, in attesa che torni sugli schermi il clown assassino del capolavoro “It”.

In questo clima di incertezze e terrore, paradossalmente andare al cinema e spaventarsi può essere il giusto metodo per esorcizzare le proprie paure e cominciare ad affrontarle. Non è un caso, infatti, che il genere della fantascienza abbia avuto slancio con i timori della guerra fredda e che in Italia fu durante gli Anni di Piombo che scoppiò il fenomeno Argento.

Adesso che il genere del brivido è in una fase prolifica e il mondo è di nuovo in un clima di angoscia a causa del terrorismo, come mai l’Italia, prima fucina di idee e di successi internazionali del genere, sembra aver dimenticato l’horror?

Non abbiamo avuto solo Dario Argento, ma prima di lui Mario Bava, omaggiato in festival in tutto il mondo, Pupi Avati, Lucio Fulci e poi autori vari che hanno realizzato anche singole pellicole, ma di grande rilievo.

Nel 1972, per esempio, Massimo Dallamano girava “Cosa avete fatto a Solange?”, film oggi sconosciuto, ma che sarà presto un remake hollywoodiano per mano della stella nascente Winding Refn, sugli scudi nel 2011 per “Drive”.

L’Italia davvero ha abbandonato questo genere che per anni era stato una piccola miniera d’oro?

Speriamo che non sia del tutto così, ma i film horror usciti di recente si contano davvero sulle dita di una mano! Buoni sono “Shadow” e “Tulpa” di Federico Zampaglione, più noto come cantante dei Tiromancino e marito di Claudia Gerini. Cruenti, ma con trame e messaggi interessanti, guardano comunque al passato fra citazioni e omaggi nostalgici.

Con “Eaters” (2011) Luca Boni e Marco Ristori dedicano l’ennesimo capitolo al filone degli zombi, Ivan Zuccon con “Colours from the dark” (2009) a quello delle possessioni. Più interessanti “Ubaldo Terzani Horror Show” di Gabriele Albanese (2011) e la favola nera di Riccardo Paoletti “Neverlake”, uscita nel 2013.

Film spesso a basso costo, con buone idee ma limiti di sceneggiatura o nella recitazione. Soprattutto, però, opere che sono casi isolati. Perché la filmografia recente italiana si ferma, appunto, qui.

Francia, Spagna, sudamerica hanno saputo rinascere in questo senso e tornare a produrre pellicole di successo, sia di esportazione che per le sale locali, l’Italia sarà capace di reinventarsi anche questa volta?

Basta guardare i botteghini per comprendere come ci sia la necessità, per noi, di tornare sul mercato con dei prodotti per i quali eravamo fra i migliori al mondo e di come sia forte il bisogno di inserirsi nella concorrenza. Il found-footage, poi, sempre più alla ribalta grazie alle saghe di “Rec” e “Paranormal Activity” e al recente “The Visit” di Shyamalan (l’uomo de “Il sesto senso”) abbatte i costi di produzione a livello quasi irrisorio.

Blog, spettatori, persino lettori di genere sono moltissimi in Italia, per cui la passione non manca, dunque dove sta il problema?

Forse, innanzitutto nella sfiducia verso le nuove leve, legata anche al pensiero (sbagliato) che un horror italiano, per di più di un esordiente, sarebbe subito vittima di pregiudizi che lo releghino a un B-Movie brutta copia di quelli statunitensi.

Infine, nel solito atteggiamento italiano di sguardo al passato e di nostalgia che ci lasciano spettatori immobili di quello che fu: la prova è il continuo tentativo di far realizzare film a quel Dario Argento ormai ultrasettantenne e privo di ogni stimolo e ambizione. Siamo stati grandi, ma la chiusura di quel ciclo non può e non deve voler dire che non se ne potrebbe riaprire uno in futuro.

Purtroppo, l’horror non è la sola vittima di questa tendenza italiana: l’assassinio, metaforicamente parlando, è a dire il vero duplice, poiché anche il western ha subito la sua stessa identica sorte.

E chi sostiene che anche questo sia passato di moda, provi a mandare una mail al sig. Quentin Tarantino per chiedere parere.

 

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