di Daniela Zanuso
In un’Italia un po’ perbenista, bigotta, conservatrice e decisamente provinciale, che vedeva con diffidenza tutto quello che era estraneo e straniero, il fenomeno dei Beatles venne vissuto con malcelato fastidio e scarsissima comprensione. Ma si sa, qui da noi le cose si capiscono sempre con un certo ritardo.
Quattro ragazzi arrivati dalla perifierie di una città industriale che nutrivano un sogno e che con bravura, intelligenza e ironia hanno saputo realizzarlo e renderlo più grande di quanto nessuno avesse mai immaginato. Giacche attillate, camicie bianche con colletti grandi, capelli lunghi, stivaletti, un look imitato da tanti e che è passato alla storia.
La stampa li definiva “questi zazzeruti” ed era arrivata a titolare “Il fenomeno Beatles da noi non esiste”. I loro unici concerti in Italia si tennero alla fine di giugno del 1965, in una storica tournée (Milano, Genova e Roma) che segnerà profondamente la nostra cultura.
In fatto di musica, il nostro paese era indiscutibilmente arretrato: al festival di Sanremo pochi mesi prima aveva vinto Bobby Solo con il brano Se piangi, se ridi, dopo la mancata vittoria dell’anno precedente con Una lacrima sul viso. Ed era in buona compagnia: Orietta Berti, Iva Zanicchi, Pino Donaggio, Claudio Villa, Fred Bongusto, Peppino di Capri. Cantanti melodici adatti ad un pubblico adulto, mentre per i più giovani il massimo della trasgressione erano Celentano, i Camaleonti e l’Equipe 84. La musica rock era questa.
L’originalità dei brani dei Beatles derivava da un mix di fattori: strumenti musicali nuovi, sonorità indiane, nuove sperimentazioni tecnologiche. Il messaggio dei “Fab Four”, abbreviazione di “The Fabulous Foursome” (il favoloso quartetto), segnò fortemente la generazione di quegli anni.
Per avere un’idea dell’impatto che ebbero i Beatles, è sufficiente dare uno sguardo alle foto che ritraggono le scene di delirio dei fans ai loro concerti. I giornalisti furono più colpiti dal comportamento del pubblico che non da quello dei quattro: una bolgia dantesca, un casino tremendo, un “bailamme”, una sarabanda mai vista, una folla senza freni, una frenesia generale e schiamazzante raccontata con efficacia sui principali quotidiani italiani. Registi famosi come Strelher, intellettuali come Pier Paolo Pasolini, cantanti e attori di successo tutti definirono il fenomeno come inspiegabile e stroncarono i Fab Four senza pietà. Ma negli anni che seguirono fu tutto un proliferare di band musicali, chitarre elettriche e batterie. Ma non solo.
Fu la spinta ad un cambiamento radicale, una “rivoluzione” culturale che ebbe inizio da quel processo di autocoscienza collettiva che sfocerà in pochi anni in un cambiamento epocale. Diritti politici, parità uomo-donna, libertà sessuale, religiosa, di pensiero e di azione, ecologia, sono diventati movimenti innescati anche attraverso la musica che non conosce più frontiere.
Una svolta straordinaria per le trasformazioni sociali e culturali che ne sono derivate, determinata anche dal momento storico, la guerra in Vietnam, la conquista della luna, la rivoluzione culturale cinese e da altre figure non meno rilevanti come i Kennedy , Martin Luther King, il Che Guevara.
Qualcuno ha detto “Se volete conoscere gli anni Sessanta, ascoltate la musica dei Beatles” (Aaron Copland compositore americano). Forse non aveva tutti i torti.