Cinque Terre, mare verticale

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Meriggiando a Monterosso

“Lungomare di Fegina”. Così si chiama oggi il percorso che costeggia le spiagge di Monterosso al mare, il primo dei borghi delle Cinque Terre per chi arriva da Levanto, giungendo sino alle case più antiche all’interno del paese. Il lungomare è dedicato a Eugenio Montale e percorrendolo d’estate, nelle ore subito dopo mezzogiorno, può capitare che si affacci alla memoria qualcuno dei versi del poeta genovese, che era solito trascorrere qui la villeggiatura estiva. E proprio da questi paesaggi prese spunto per numerose liriche contenute nella raccolta Ossi di seppia.


Può capitare per esempio di immaginare la figura del poeta “meriggiare” nelle assolate giornate estive, sotto il sole rovente come i muri degli orti che si arrampicano sulle colline liguri, tra il fruscio delle serpi tra gli sterpi, osservando assorto le formiche avanzare in fila sul terreno, intravvedendo l’azzurro del mare tra i rami. Oppure immaginarselo mentre cammina pensieroso, costeggiando quei muri sormontati dai cocci di bottiglia a prova di ‘scavalcatori’ così frequenti all’interno di quel paesaggio e riflette sul (non) significato della vita umana.

Un tempo inafferrabile, fatto di cammini obbligati sotto un sole abbagliante.

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Suoni

«In fondo, chiedersi perché […] Genova sia l’epicentro storico della musica d’autore italiana e fucina ineguagliabile di talenti è un po’ come domandarsi perché i Beatles sono nati proprio a Liverpool e il Rock’n’Roll negli Stati Uniti » (da Repubblica, 9 marzo 2014). In fondo, basta girare per le vie di Zena (Genova, in dialetto ligure), per capire come una città come il capoluogo ligure, possa aver allevato e nutrito l’anima di molti cantautori italiani.


Dagli anni ‘60 in poi è stata segnata una linea di demarcazione, un movimento che scatenò un profondo stravolgimento all’interno della musica tradizionale italiana: di nuovo c’era l’adozione di un modo di comunicare diverso con le persone, la musica diventava sempre più realista, a discapito di quelle note che potevano apparire quasi finte.

Di colpo, lo scenario italiano viene invaso dal desiderio e dalla necessità di essere veri e autentici, affrontando temi che andavano dal sentimento, al trattamento di argomenti più esistenziali e riflessivi, in un confine che si spingeva in una musica impegnata e schierata, dalla parte della gente comune. Gli esponenti sono Umberto Bindi, Fabrizio De Andrè, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Gino Paoli e Luigi Tengo.


È il mare il protagonista comune all’interno delle loro canzoni. Ma si sa che coloro che rimasero profondamente segnati da questa terra furono De André e Lauzi, che sentirono l’esigenza di dover raccontare di questa terra usando le sonorità tipiche del dialetto genovese, all’interno delle proprie canzoni, riuscendo a rendere poesia anche una banalissima ricetta.


Una prima generazione di artisti che non ha mai dimenticato i colori, i suoni e i sapori della propria città, la quale ha poi dato spazio ad altri come Vittorio De Scalzi (cantautore e coautore di brani con Fabrizio de André) i New Trolls, i Ricchi e Poveri e i Matia Bazar, e quindi con gli esponenti della nuova generazione della scuola genovese, primi tra i quali Ivano Fossati e Francesco Baccini, seguiti poi da Max Manfredi, Federico Siriani, Cristiano De André. E ora rimaniamo in attesa di un qualcosa di nuovo, risollevi questo periodo storico avulso dal caos, dai successi effimeri, di canzoni passeggere, non ci rimane che aspettare, quel suono che richiama l’infrangersi delle onde e perché no i marinai che urlano al porto.

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Gusti

Nel XVIII e nel XIX secolo la zona delle Cinque Terre si specializza nella produzione di vino. La massima espansione dei terrazzamenti coltivati avviene nel corso dell’800, con l’espansione demografica.


Nel 1920 le Cinque Terre furono colpite dalla filossera, un parassita delle piante, che distrusse irrimediabilmente tutti i tipi di vigna coltivati. All’inizio degli anni ’30 le vigne erano decimate e vasti spazi incolti. Gli abitanti ricostruirono i vigneti con l’impianto di vite americana poi innestata con i vitigni locali tradizionali.

Recentemente le tecniche enologiche, a vent’anni dal riconoscimento DOC nazionale, hanno portato gli operatori a selezionare maggiormente le caratteristiche peculiari del territorio.


In questo territorio non si può parlare di vino senza parlare dello Sciacchetrà, vino passito prodotto esclusivamente qui secondo un rigidissimo disciplinare di produzione.

Il termine “sciacchetrà” (o sciachetrà), con cui è commercializzato e ormai ovunque conosciuto, è attestato soltanto verso la fine dell’Ottocento. L’etimologia del vocabolo deriva dal verbo «sciacàa» (schiacciare), utilizzato per indicare l’operazione di pigiatura dell’uva.

©fotografie di Giovanna Monguzzi
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