Combustibili fossili: c’è chi dice no

di Francesca Radaelli

Cattolici, protestanti e musulmani: uniti nella stessa direzione. Le istituzioni religiose costituiscono oggi il più grande gruppo nel movimento di disinvestimento mondiale dai combustibili fossili. Il dato è emerso dall’edizione di quest’anno di Financing the Future, il vertice che si è svolto il 10 e 11 settembre a Città del Capo, in Sudafrica, dedicato all’accelerazione degli investimenti nell’economia pulita.

In questa occasione una nuova coalizione di diverse istituzioni religiose, ben 22, ha annunciato il proprio disinvestimento dai combustibili fossili. Grazie ad altri annunci provenienti dal mondo laico, il disinvestimento dai combustibili fossili ha raggiunto così un nuovo traguardo: 11 trilioni di dollari, circa 11 miliardi di miliardi. A tanto ammonta il patrimonio complessivo delle istituzioni che hanno aderito. Appena cinque anni fa si fermava a 50 miliardi di dollari.

Istituzioni religiose in prima fila per il Creato

Le istituzioni religiose costituiscono il numero maggiore di entità che fanno parte di questo movimento mondiale, con 150 istituzioni cattoliche su un totale globale di più di 1.100. L’annuncio più recente  include 15 nuove istituzioni cattoliche, tra cui la Conferenza Episcopale delle Filippine, l’Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Orientale e la Caritas in Italia, Singapore, Australia e Norvegia. Ma ci sono anche sette istituzioni protestanti, tra cui la Chiesa Riformata Unita del Regno Unito, la Cattedrale Episcopale di St.Mary ad Edimburgo, ed il Sinodo della Chiesa Riformata Unita del Wessex, Regno Unito.

E sono scese in campo anche le autorità musulmane negli Stati Uniti e in Canada, che hanno emesso una fatwa, ossia una sentenza religiosa, che invita i manager di investimenti di istituzioni islamiche a sviluppare alternative di investimento prive di fossili, e i singoli fedeli musulmani ad investire in energie rinnovabili.

L’annuncio è avvenuto anche in concomitanza con il Tempo del Creato, celebrazione mondiale ecumenica di preghiera e azione per il Creato, e pochi giorni dopo che Papa Francesco ha ribadito con forza: “È ora di abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili e di intraprendere, in modo celere e deciso, transizioni verso forme di energia pulita e di economia sostenibile e circolare.”

Un imperativo morale, una scelta doverosa da parte di istituzioni che spesso operano in regioni completamente snaturate a causa della crisi climatica, il dovere di prendersi cura delle generazioni future e del Creato che ci è dato in custodia: le istituzioni religiose sono sempre più attive sul fronte dell’ecologia.

Ma forse fa  ancora più (buona) notizia che anche il mondo della finanza e delle assicurazioni stia cambiando rotta.

La finanza è sempre più green

Leggendo il report pubblicato dal movimento Fossil Free proprio in occasione di Financing the Future si scopre che tra le istituzioni che negli ultimi sei mesi hanno aderito al disinvestimento c’è la Nordea Liv & Pension. Si tratta di un istituto previdenziale danese che a fine 2018 amministrava oltre 19 miliardi di dollari e ha ora annunciato il ritiro dei propri investimenti nei settori ad alta intensità di carbonio, riducendo la propria impronta di carbonio del 50%. Ma la lista annovera anche la Chubb Ltd, che è diventata la prima compagnia di assicurazioni statunitense ad avviare l’eliminazione degli investimenti in carbone e anche delle polizze  assicurative: non ne stipulerà più per le società che ricavano oltre il 30% del loro giro d’affari dalle miniere il carbone.

È vero, sono soprattutto le istituzioni cosiddette ‘mission-driven’ ad ampliare la lista delle adesioni: organizzazioni sanitarie, gruppi religiosi (i più numerosi), associazioni non profit, fondazioni, istituzioni educative rappresentano il 60% delle new entry degli ultimi tre anni. Le compagnie assicurative e i fondi pensionistici sono però quelle che apportano i contributi più ingenti.

I fondi sovrani diventano ‘responsabili’?

Anche diversi fondi sovrani si stanno allontanando dai combustibili fossili. Nel 2018 l’Irlanda, che possiede un fondo sovrano di sviluppo di 8,9 miliardi di euro (10,4 miliardi di dollari), è stato il primo paese a impegnarsi nel disinvestimento nei combustibili fossili. Anche il fondo sovrano norvegese, il secondo maggiore investitore pubblico al mondo – con asset per un miliardo di miliardi di dollari e 35 miliardi di dollari investiti in compagnie petrolifere – ha annunciato un programma di disinvestimento da carbone, petrolio e gas (anche se recentemente è arrivata la notizia che il disinvestimento è stato ridotto da 7,8 a 5,7 miliardi di dollari). Dal 2016 a oggi 75 fondi pensionistici si sono impegnati nel disinvestimento, portando il numero totale dei fondi a 158.

Nel marzo 2018, il fondo danese MP Pension, che gestisce oltre 18 miliardi di dollari, ha deciso di disinvestire da mille società legate ai combustibili fossili: “Dalle analisi che abbiamo condotto emerge che questa decisione ricadrà positivamente sui nostri rendimenti a lungo termine”, ha sottolineato il ceo Jens Munch Holst.

Il movimento per il disinvestimento

Ma da dove nasce l’idea del disinvestimento dai combustibili fossili? Nasce nel mondo studentesco, molto prima di Greta Thunberg e degli scioperi Friday for Future. Tutto è cominciato nel 2011 quando alcuni studenti dello Swarthmore College campus, in Pennsylvania, lanciano la prima campagna di disinvestimento da combustibili fossili, esortando la propria università ad abbandonare il carbone. Trovano l’appoggio di un gruppo di fondazioni, guidate dal Wallace Global Fund, grazie a cui vengono avviate altre campagne nei campus universitari americani. Quindi, nel novembre 2012, la campagna per il disinvestimento diventa mondiale: con il Do the Math Tour la campagna Fossil Free raggiunge non solo gli Stati Uniti, ma anche Europa, Asia e Australia. A oggi è approdata in 21 città e 300 università in tutto il mondo.

L’obiettivo iniziale era convincere il maggior numero possibile di istituzioni a disinvestire dai combustibili fossili, iniziando dai college, le università, i gruppi religiosi e le fondazioni. Oggi il disinvestimento vale 11 miliardi di miliardi. Insomma, i ragazzi ne han fatta di strada.

 

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