di Marco Riboldi
Facciamo una premessa importante. Questo è il tempo della responsabilità. Ogni cittadino deve mettere da parte almeno per un certo periodo le proprie personali valutazioni ed attenersi alle regole.
Non c’è spazio oggi per la consueta polemica che anima la vita sociale.
Lo stesso giudizio che si può dare sull’azione di chi governa deve oggi essere sottoposto alla necessità di una accurata disciplina civile che non può portare a comportamenti fuori dalle regole.
Solo quando l’emergenza sarà ridimensionata, seppur non conclusa, verrà il momento di giudicare l’azione di chi ci sta guidando in questi tempi di corona virus e di scelte complicate.
Mi pare di poter dire che, nel complesso, i cittadini italiani abbiano ben compreso questa necessità e abbiano reagito in modo adeguato alle circostanze eccezionali nelle quali ci siamo trovati.
Ma si sa, spesso le nostre qualità migliori emergono nei momenti più difficili.
Adottare questo atteggiamento ci consente di fare alcune valutazioni, anche critiche, che non siano fini a se stesse, ma forse utili a comprendere qualche errore che si riflette sulla nostra vita di cittadini.
Non parlo dei contenuti delle misure assunte da chi ci governa: prima di tutto non ne ho competenza, inolte il periodo è talmente complicato che qualunque decisione è inevitabilmente destinata a rivelarsi giusta in alcuni punti e sbagliata in altri: persino gli scienziati devono dirci continuamente, con la onestà intellettuale che caratterizza gli studiosi seri, che in effetti troppo poco si sa su questo virus per avventurarsi in previsioni troppo precise. Se, giusto il motto di Einaudi, occorre “Conoscere per deliberare”, questa crisi rende difficilissima tanto la prima quanto la seconda azione.
Un aspetto sul quale oggi si può fermare la nostra attenzione è forse quello della comunicazione.
Qui abbiamo la possibilità di fare un po’ di analisi.
Anzitutto l’esperienza della moltitudine di soggetti che si sentono di dover dire qualcosa.
Quanto più ci troviamo davanti a questioni che toccano tutta la popolazione e soprattutto quanto più queste questioni spaventano, maggiore diventa il numero di chi vuole parlarne agli altri.
Chi era adulto nel 1986 (gli altri riscuotono la mia incondizionata invidia) sta ripetendo la esperienza dei giorni di Chernobyl, quando sembrava che i concetti di quantità di radiazione, di decadimento radiottivo e via nuclearizzando fossero comuni a tutti, dal professore universitario di fisica al tabaccaio all’angolo. Oggi invece c’è una insospettabile quantità di virologi e di epidemiologi (non sto parlando degli accademici o degli esperti del governo: questi fanno il loro mestiere) che imperversano ovunque, contenuti solo dal fatto di non potersi ritrovare al bar per le note restrizioni.
Ora, qui non si tratta di discutere sui contenuti, ma su questa pulsione a quanto pare incomprimibile a dire qualcosa; e il bello è che meno se ne sa, più si vuole parlare.
Tralascio la ineffabile genìa dei complottisti, che costituiscono una divertente variabile del dibattito.
C’é poi chi deve istituzionalmente comunicare, anche perchè deve assumere decisioni e spiegarle.
L’esperienza di queste settimane non è stata molto felice, direi soprattutto per due motivi.
Il primo è la necessità di più chiarezza.
Quando sento parlare una autorità (politica, amministrativa, scientifica) la prima cosa che desidero è che sia esplicita. Sempre, ma soprattutto in situazione di emergenza, il cittadino deve sapere senza incertezze quel che può fare e quello che non può fare, quel che succede e quel che succederà o potrà succedere, quel che le autorità sanno e quel che sperano o temono o ignorano.
Si pensi alla interpretazione delle parole “congiunto” o, peggio, “affetto stabile”, “passeggiata” e “attività motoria”.
Non stiamo riferendoci a comunicazioni di pura manifestazione di opinioni: qui si tratta di atti normativi che vengono annunciati, quindi ogni parola deve essere soppesata perchè deve avere un preciso confine giuridicamente apprezzabile ( rinviare alle FAQ – risposte alle domande frequenti per chi parla italiano – del Ministero può essere genericamente interessante, ma non ha acun valore giuridico).
Altro motivo di incertezza è che troppo spesso abbiamo sentito comunicare decisioni non ancora assunte e neppure pronte.
Non si annuncia un decreto prima di averlo scritto, non si annuncia una decisione prima di averla definita. Il rischio è quello che abbiamo visto correre continuamente al governo: si annuncia una decisione, poi ci si rende conto che per vari motivi (opinioni emergenti nella maggioranza, osservazioni di tecnici ecc.) tale decisione deve essere modificata, anche non poco.
Risultato: confusione nella testa dei cittadini (speriamo solo nella loro).
Ancora. Vorrei sottolineare l’ importanza della parola “cioè”.
Per favore sarebbe possibile usarla più spesso? Perchè quando sento, e da giorni, proclamare da governanti e governatori, parlamentari e sindacalisti frasi come “Non lasceremo indietro nessuno” mi chiedo come mai a nessun giornalista venga spontanea la domanda: “Cioè?”.
Ovvero: cosa intendete con questa magica frase? Quali provvedimenti si nascondono dietro tale nobile enunciazione? E perchè non ce li spiegate in dettaglio e concretezza?
Perchè non ci date una precisa cronologia degli interventi annunciati, indicando anche le priorità?
Perchè credo che i cittadini siano dispostissimi a sentirsi dire che non si può fare tutto e subito: ma spiegateci cosa esattamente volete fare, con che risorse e con che tempi.
Abbiamo avuto anche noi i figli bambini e alle loro domande su quando avremmo fatto questo o quello capitava di rispondere “ Eh, vediamo”. Ma passati i sette anni di età non ci cascavano più e volevano sapere con precisione i tempi della nostra promessa.
Ecco, gli italiani non hanno più sette anni.
Da ultimo, una osservazione meno importante delle altre, forse persino un po’ scherzosa, ma non del tutto inutile, credo.
Ci avete (politici e giornalisti) fatto digerire di tutto.
Avete chiamato vairus il virus, avete definito le classi di età come “over …”, avete utilizzato inutilmente termini come “lockdown”, sa il cielo perchè temete le politiche europee di “austerity” per un rischio di “default” e non di “austerità” paventando il “fallimento” e già parlate di un “election day” in autunno.
Ora, capisco che il rapporto problematico di molti politici ( e non solo…) con il congiuntivo (cielo, un altro congiunto!) induca in tentazione, ma vediamo di non esagerare.
Perchè quando sento dire che il MES non deve avere “condizionalità” (non bastava “condizioni”, vero? ) comincio a pensare che lo facciate apposta per non farvi capire.
Tranquillizzatevi: anche senza ricorrere all’inglese, troppo spesso ci riuscite benissimo.
Concludendo: siamo pronti, prontissimi, e lo abbiamo dimostrato, a rispondere diligentemente alle richieste di chi ha la responsbiità di gestire questo problemone del virus.
Però per favore, parliamoci chiaramente.