di Francesca Radaelli
Letteralmente significa “luogo dove si corre”. Ma la prima cosa che viene in mente quando la si sente pronunciare non è certo una gara podistica. La parola corridoio evoca soprattutto un passaggio stretto, magari un po’ buio, eppure possibile, sicuro e necessario a collegare tra loro stanze o luoghi che altrimenti rimarrebbero isole inaccessibili.
Parlando di spostamenti di popolazione si evocano spesso immagini di grandi masse in movimento, da arrestare una volta per tutte costruendo muri, oppure di fronte a cui arrendersi aprendo definitivamente le porte all’’invasione’.
Il rischio è di sottovalutare i corridoi, che corrono rasenti ai muri e conducono alle porte.
Proprio nei giorni scorsi, mentre la Commissione Europea decideva di prorogare di altri sei mesi i controlli alle porte di cinque paesi dell’area Schengen (Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia), mentre Matteo Renzi bollava come puro esercizio di propaganda le minacce austriache di costruire un muro al Brennero, qualcun altro in Italia provava a indicare un’altra via, più stretta e silenziosa, una via che non è fatta per i passaggi di massa, una via obbligata e di conseguenza ‘controllata’: quella che passa, appunto, attraverso i corridoi.
Corridoi umanitari
Lo scorso 3 maggio, alla vigilia del pronunciamento della Commissione Ue sulle frontiere interne all’Europa, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche, le Chiese valdesi e metodiste hanno portato in Italia e accolto a Fiumicino un altro gruppo di profughi (un centinaio tra musulmani e cristiani) provenienti dalla Siria e dall’Iraq. Prosegue dunque il progetto dei corridoi umanitari, realizzato e totalmente autofinanziato dalle sopracitate associazioni, cattoliche e protestanti, in collaborazione con il governo italiano. Un’iniziativa che coniuga solidarietà e legalità, e permette ai migranti di arrivare in Europa con visto umanitario, in maniera sicura, evitando le morti in mare e il ricorso ai trafficanti di esseri umani. Lo spirito è analogo a quello che qualche settimana fa ha spinto papa Francesco, di ritorno da Lesbo, a portare con sé 12 profughi. A Roma ne sono giunti ora poco più di cento. Parliamo sempre di ‘piccole gocce nel mare’, per usare le parole con cui il pontefice ha commentato il suo gesto. Dopotutto, però, il mare è fatto di piccole gocce.
Corridoi educativi
A sollecitarli era stata la presidente della Commissione Cultura e Istruzione del Parlamento europeo, che si chiama Silvia Costa, è italiana e che a ottobre dell’anno scorso aveva chiesto alle Università europee di consentire l’accesso agli studenti costretti alla fuga dai Paesi in conflitto. Sempre il 3 maggio, sempre a Roma, ma presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è stato presentato ‘U4Refugees’ (L’Università per i rifugiati), iniziativa che prevede veri e propri corridoi educativi per consentire ai rifugiati l’accesso ai percorsi di alta formazione e consentire a studenti o ricercatori con un percorso già iniziato nei loro Paesi di avere un’accoglienza non solo umanitaria, ma anche educativa nel nostro Paese, primo in Europa a avviare l’apertura ai corridoi educativi.
Certamente le vie dell’accoglienza non sono infinite, certamente ognuno è chiamato a fare la propria parte, non solo in Italia ma anche e soprattutto in Europa.
La Commissione Ue, nel rinnovare i controlli alle frontiere, ha anche annunciato il prossimo arrivo di una multa (250mila euro) per ogni rifugiato non accolto da parte dei Paesi che, in base al sistema delle quote, sono tenuti a farlo.
Intanto papa Francesco invita a vedere chi arriva non come un peso ma come un dono. Non un problema ma una risorsa, da accogliere e formare, guardando soprattutto al futuro.
Intanto due progetti italiani mostrano come accoglienza, sicurezza e integrazione possano passare anche per un corridoio.
Francesca Radaelli