Cosa cambierà dopo il coronavirus?

di Laurenzo Ticca

Una premessa: il coronavirus ha portato alla luce quel grande serbatoio di solidarietà sacrificio e abnegazione che il nostro paese ha in serbo nei momenti più difficili e drammatici. Pensiamo al lavoro (con un numero impressionante di “caduti” sul campo) di medici, infermieri, personale sanitario che in queste settimane non mollano la trincea degli ospedali, dei reparti di terapia intensiva.

Pensiamo alle migliaia di camici bianchi che hanno risposto generosamente all’appello della Lombardia. Pensiamo, infine, al volontariato. Per il resto è un profluvio di articoli, commenti, prese di posizione, che lasciano perplessi.
Per l’ingenuo candore o il cinismo che li alimenta.

“Cambierà tutto” ci sentiamo dire ogni giorno. Quasi che il dopo-coronavirus sia destinato a cambiare la politica, le relazioni internazionali, a trasformare l’egoismo in altruismo, a garantire al sociale la rivincita sul privato.

Ne siamo proprio sicuri?
Se le catastrofi avessero la capacità di mutare la natura dell’uomo negli ultimi duemila anni avremo avuto più di un’occasione per costruire un mondo diverso. Il coronavirus più che insegnare qualcosa ci offre la possibilità di riflettere e magari scrivere un messaggio in bottiglia da gettare in mare nella speranza che uomini di buona volontà un giorno lo raccolgano e ne traggano lezione.

L’emergenza che stiamo vivendo in questi giorni ha riproposto il tema della sanità pubblica, il suo ruolo, l’importanza che essa riveste in una società dove crescono l’incertezza, la paura, le diseguaglianze. La salute è un bene tutelato dalla nostra Costituzione.

C’e’ chi ha spinto, in questi anni, per una crescente privatizzazione (vedremo purtroppo cosa accadrà ora negli Stati Uniti, paese in cui oltre 20 milioni di americani non hanno una assicurazione sanitaria). Le avvisaglie del dramma sono già sotto gli occhi di tutti. Basta leggere i giornali e guardare i tg.

Dopo il coronavirus saranno ridimensionate le pretese di quanti vorrebbero una sanità soggetta alle leggi del mercato?

La ricerca, e con essa la scuola, l’università, l’assistenza, potranno godere finalmente dei finanziamenti che consentano di offrire al paese una chance in più nella lotta contro le diseguaglianze?

Basterebbe una lotta senza quartiere alla evasione fiscale per reperire i fondi. Ma l’evasione, lo sappiamo, è terreno da proteggere e coltivare per parte del ceto politico interessato solo al voto. E gli evasori votano. Cambierà qualcosa dopo il coronavirus?

E ancora: una ventina d’anni fa ha preso forma il modello neoliberista (liberalizzazione dei flussi di merci e capitali). Un passaggio storico accompagnato da poteri sovranazionali cui è stato affidato il compito di orientare la politica degli Stati. Fu ignorata la possibilità di integrare la grande trasformazione con politiche volte a tutelare il lavoro, i diritti, la salute pubblica, l’ambiente.

Il coronavirus cambierà tutto questo? E l’Europa? Dopo la gaffe della signora Lagarde (ma si è trattato solo di una gaffe?) la BCE ha fatto marcia indietro. Acquisterà titoli del debito pubblico per 750 miliardi di euro. Bene.

A partire dagli anni ‘90 è stato smantellato il modello di integrazione europea fondato su spesa pubblica e ruolo centrale dello Stato. Assisteremo ad una revisione delle politiche europee o prevarranno alla fine gli egoismi nazionali, resi ancor più stringenti dalla emergenza virus che ha colpito, per ora, soprattutto Italia, Spagna , Francia e Germania?

La Commissione europea ha sospeso il Patto di stabilità autorizzando i paesi a distribuire denaro nelle rispettive economie. L’Italia vedrà schizzare il proprio debito. L’Europa sarà in grado di varare un meccanismo di mutualizzazione dei debiti ? Chiamatelo come volete: eurobond, coronabond.

E quelle forze politiche in salsa leghista che hanno puntato sull’orgoglio regionale, sull’indebolimento dello stato centrale, sulla arrogante chiusura a difesa dei propri innegabili successi, cambieranno ora che devono constatare quanto sarebbe necessario avere istituzioni solide capaci ben oltre i confini regionali di organizzare la risposta a questa emergenza e garantire poi la ricostruzione di un paese colpito al cuore?

E quei ceti politici meridionali ai quali bisognerebbe chiedere conto dei soldi pubblici sottratti ai propri cittadini in decenni di malgoverno, che faranno? Per ora tremano in attesa di una ondata che li travolgerebbe mettendo a nudo il fallimento, per quanto li riguarda, del loro regionalismo.

E infine l’ambiente: molte infezioni virali si sviluppano in contesti nei quali le politiche predatorie delle multinazionali dell’agroalimentare hanno devastato, con la complicità dei governi locali, interi ecosistemi innescando una miscela esplosiva composta da animali ai quali è stato raso al suolo l’habitat naturale, allevamenti intensivi e periferie urbane densamente abitate e caratterizzare da livelli igienici inaccettabili.

Il coronavirus cambierà qualcosa? Non ne siamo convinti. Ma forse gli uomini e le donne, le forze politiche e sociali che un giorno troveranno il messaggio in bottiglia potranno mettersi al lavoro per cambiare le cose. Apprenderanno che l’epidemia globale ha rimesso in discussione i dogmi neoliberisti, che lo Stato centrale non è un ferro vecchio ma il luogo in cui ripensare il governo dell’economia e delle relazioni sociali.

Che l’articolazione Stato-Regioni deve essere ripensata e sottratta agli egoismi particolaristici, che la sanità, infine, deve essere ridisegnata a partite dalle esigenze e dai diritti dei più deboli.

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