Così lontano, così vicino

turchiainformazioneLe immagini dei giorni scorsi, provenienti dalla Turchia, dei detenuti mezzi nudi con le mani dietro la schiena mi hanno ricordato per similitudine una serie di immagini a cui non ero più abituato che dal fondo della mia memoria emergono dagli anni ’70, quando non era raro vederle durante un telegiornale o attraverso un servizio di un settimanale d’attualità che riportavano i resoconti delle dittature dell’America Latina o dell’Africa.

E’ proprio per questo stesso motivo che mi hanno colpito e mi hanno dato da pensare.

Allora quelle immagini, forse perché ero un ragazzo, apparivano lontane, a volte non perfettamente a fuoco nella loro risoluzione. Oggi esse appaiono così vicine e così definite da un punto di vista fotografico e nello stesso tempo così anacronistiche e proprio questo ci fa paura; come se una realtà che appariva così lontana negli anni ’70 e per la quale dicevamo “Poverini!”, oggi ci susciti soprattutto paura, orrore perché è parte di un mondo non più così indefinito.

Oggi quello è il paese che si discute se debba o meno entrare a fare parte della nostra comunità, oggi a quel paese abbiamo affidato la cura e il controllo di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini che strappando le loro radici, provano a metterle a dimora (che non a caso è sinonimo di piantare), in altri terreni più o meno buoni, più o meno adatti.

Ricordo in quegli anni le testimonianze di alcuni missionari, che nella narrazione sembravano parlare di mondi lontanissimi, loro stessi sembravano intraprendere viaggi fuori dal nostro tempo e dal nostro spazio di occidentali. Alcuni di essi raccontavano di come i popoli da loro incontrati non avrebbero potuto accettare per sempre la loro condizione di povertà, di come se ne sarebbero stancati e, a noi che le udivamo, quelle parole sembravano vaghe profezie di un tempo e di uno spazio di là da venire.

Oggi mi sorgono spontanee alcune domande a cui fatico trovare una risposta certa: in questi 40-50 anni cosa è cambiato? Perché se prima le stesse identiche immagini mi facevano provare compassione oggi mi suscitano paura? Può essere che mentre noi crescevamo queste stesse cose accadessero in molte parti del mondo e noi non ce ne accorgessimo? La differenza tra allora ed oggi è la vicinanza o la consapevolezza che questi avvenimenti  oggi ci riguardino direttamente?

Una cosa tra le altre mi rimane: dire “Poverini!” esprimeva forse un senso di pietà, ma non è di grande aiuto per cambiare una situazione. “Non possiamo accoglierli tutti, stiano a casa loro” non mi pare che di per sé risolva i problemi. Entrambe sono sicuramente espressioni spontanee dettate dalla pietà o dalla paura e dunque in quanto sentimenti non vanno giudicati. Non sono però i sentimenti da soli a dirci come comportarci per trovare soluzioni praticabili e la praticabilità richiede due movimenti imprescindibili: la consapevolezza, rendersi conto di ciò che accade e muoversi, non lasciarsi paralizzare dal senso di impotenza, dalla paura, dalla inadeguatezza.

Mi resta un dubbio, una domanda: i nostri comportamenti di tutti i giorni al fianco di coloro che incontriamo possono essere contagiosi più di quello che crediamo? E se sì, possono avere ripercussioni non solo nel nostro piccolo?

Così lontano, così vicino, questo oggi è il mondo.

Mario Colombo

 

 

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