di Bernardo Reggi
Il 9 febbraio 1978 muore Costante Girardengo (Novi Ligure 1893-Cassano Spinola 1978), uno dei migliori interpreti del ciclismo eroico dei primi decenni del Novecento. I ciclisti venivano detti “giganti della strada”, correvano su strade di ghiaia e terra che diventavano di fango con la pioggia, mentre con il sole si alzavano nuvole di polvere che facevano intravedere fugacemente figure in bianco e nero che presto scomparivano alla vista.
Lo sport della bicicletta era per uomini duri, le corse erano di una lunghezza esagerata, anche più di quattrocento chilometri, occorreva tenacia e capacità di soffrire, talento e fisico, e Girardengo aveva tutto questo, insieme a intelligenza e astuzia per attaccare al momento giusto e sfruttare ogni occasione per distanziare gli avversari. Nessuno vince come lui negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra, trionfa in 2 Giri d’Italia, 6 Milano-Sanremo, 3 Giri di Lombardia, 9 Campionati italiani. Per tutti è “l’Omino di Novi”, e viene creato per lui l’appellativo di “Campionissimo”, onore che venne meritato, trent’anni dopo, solo da Fausto Coppi.
Termina l’attività sportiva nel 1936, e apre una azienda di biciclette. Diventa anche commissario tecnico della nazionale, e con la sua guida Gino Bartali vince il Tour de France del 1938.
E’stato un modello e un mito per una intera generazione:
“Costante Girardengo è stato il mio ultimo idolo prima che l’adolescenza giungesse a spazzare dal mio cielo, che ne rimase disperatamente vuoto, ogni epica traccia di eroi”(Indro Montanelli).
“Accorrevo soltanto per vederlo, ed era, ogni volta, soltanto una apparizione fulminea e fantomatica: tra la folla urlante e la polvere dorata di un tramonto di primavera, lo sfrecciare della sua maglia bianca con la fascia tricolore”(Mario Soldati).
Sembra davvero strano che un piccolo ciclista possa aver scatenato passioni ed emozioni così intense, ma Girardengo per i giovani dell’epoca è stato l’esempio e la prova che, con volontà e determinazione, si può conquistare fama e ricchezza.
Era il ciclismo eroico, e come diceva il primo organizzatore del Tour de France (H.Desgrange), vincere le corse era il mezzo più rapido per far diventare ricco un povero.
In questi ultimi anni il nome di Girardengo è stato riscoperto dal grande pubblico grazie ad una canzone portata al successo da Francesco De Gregori (ma scritta dal fratello Luigi Grechi), “Il bandito e il campione”, che narra dell’amicizia tra Costante e un famoso bandito del tempo, Sante Pollastri, cresciuti insieme nello stesso rione povero di Novi Ligure e con la stessa passione per la bicicletta.
Per entrambi la povertà, le ingiustizie e la sopraffazione dei potenti erano insopportabili: Costante grazie alle vittorie e alla fama presto si riscatta dalla miseria e si afferma come una figura esemplare per la gioventù dell’epoca, Sante invece diventa un pericoloso bandito, costretto alla latitanza per aver ucciso due carabinieri. Mantiene però sempre un tratto di lealtà e di ”riparatore di torti”, novello Robin Hood e ladro gentiluomo, aiuta i poveri e sovvenziona associazioni anarchiche.
Secondo la canzone, viene arrestato quando sfida i carabinieri e va ad assistere ad una corsa per vedere passare Girardengo, portato alla rovina dalla sua passione e dall’amicizia verso il campione.
Su questa storia sono stati scritti anche libri, spettacoli teatrali e un film per la televisione.
C’è molto di romanzato in tutto questo, di vero c’è l’incontro tra Girardengo e “il bandito” nel 1926 al velodromo di Parigi, documentato dalla testimonianza del Campionissimo al processo contro Sante Pollastri. Girardengo, impegnato in una “Sei Giorni” nella capitale francese, viene attratto da un fischio in mezzo alla folla accorsa per godersi lo spettacolo. E’il fischio di riconoscimento che usavano da ragazzi, Costante si gira e vede quel suo amico divenuto un feroce bandito. I due si trovano dopo la corsa, Sante racconta all’amico della sua vita, della sua latitanza e della sua passione per la bicicletta mai dimenticata. L’anno seguente Sante viene catturato dalla polizia francese; qualcuno disse che, a fare la soffiata, fu proprio Girardengo.
Come sia andata veramente non lo si saprà mai, troppo tempo è passato, e ormai la verità si nasconde tra le pieghe della leggenda.
Quello che ancora ci emoziona è il diverso destino di due ragazzi molto simili, con la stessa voglia di riscattarsi dalla miseria e dall’ingiustizia ma che, come spesso accade, si trovano, quasi inconsapevolmente, a seguire percorsi di vita sempre più divergenti:
“Vai Girardengo, vai grande campione
Nessuno ti segue sullo stradone
Vai Girardengo, non si vede più Sante
Sempre più lontano, sempre più distante…”
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