Costruire la pace in tempo di guerra: il dilemma dei cristiani

di Francesca Radaelli

Un pubblico numeroso e interessato lo scorso lunedì 30 gennaio ha riempito la sala dell’oratorio di S. Biagio di Monza per assistere al primo incontro del nuovo ciclo di appuntamenti dell’ultimo lunedì del mese promosso dalla Caritas di Monza e dedicato al tema della Pace.

“La libertà vale di più della vita?” è la domanda da cui è partita la riflessione del relatore dell’incontro, il teologo don Aristide Fumagalli, che ha dialogato con il giornalista Fabrizio Annaro.

Una domanda che si è riproposta più forte che mai nei tempi più recenti con la guerra in corso in Ucraina, alle porte dell’Europa, ma che riguarda da sempre gli uomini di tutte le epoche storiche.

Il pubblico in sala, numeroso e partecipe

Come ha ricordato Fabrizio Annaro in apertura, anche il mondo cattolico è stato tra i protagonisti della Resistenza, che ha visto tanti giovani dare la propria vita per la libertà. Oggi in Iran giovani donne e giovani uomini si dimostrano disposti a perdere la propria vita per lo stesso ideale di libertà. E pochi giorni fa l’arcivescovo di Kiev, rispondendo a una domanda sull’invio di armi all’Ucraina, ha invitato tutti a trovare un modo per fermare i carri armati russi senza utilizzare le armi.

“Se la libertà vale più della vita, per difendere la libertà si deve morire. Se invece la risposta è no, allora per vivere si può rinunciare ad essere liberi”: don Aristide sintetizza così il dilemma, cercando poi di spiegare che cosa afferma sul tema il magistero della Chiesa.

La guerra: il grande male

“Il criterio fondamentale è la distinzione tra il grande bene della pace e il grande male della guerra”, sottolinea don Aristide. “E per la Bibbia la pace non è semplicemente assenza di guerra, ma pienezza di vita, che secondo i cristiani giunge attraverso Gesù Cristo. D’altra parte la guerra non è mai stata considerata una risposta giusta”.

A questo proposito don Aristide cita Giovanni XXIII che affermava: “Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. Ma anche papa Francesco: “La guerra non è la soluzione, la guerra è una pazzia, la guerra è un mostro, la guerra è un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto! Di più, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l’innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato. Sì, la guerra è un sacrilegio!”.

Da sinistra: Fabrizio Annaro e don Aristide Fumagalli

Come difendersi dalla guerra?

Se però la Chiesa non abbraccia la dottrina della guerra giusta, porta però avanti quella della giusta difesa dalla guerra. Una giusta difesa che, inevitabilmente, passa anche attraverso le armi. La dottrina della legittima difesa, spiega don Aristide, è infatti riconosciuta dalla Chiesa, seppur a determinate condizioni: quelle dell’ingiusta aggressione, dell’extrema ratio, della presenza di fondate convinzioni di successo, della proporzionalità dei danni che il ricorso alle armi può provocare.

Il secondo elemento per limitare la guerra, secondo la dottrina della Chiesa, è la cosiddetta “ingerenza umanitaria”, secondo cui la difesa della vita di altri è non solo legittima, ma un vero e proprio dovere: difendere chi non può scegliere. E’ il principio secondo cui l’Onu è intervenuto militarmente in Bosnia negli anni Novanta.

Da sinistra: Fabrizio Annaro e don Aristide Fumagalli

Alternative alla guerra

Ma oltre alla limitazione della guerra, la dottrina della Chiesa prevede anche l’alternativa alla guerra. Come spiega don Aristide, “l’autentico contrasto della guerra avviene quando si persegue la sua eliminazione”. Come? Secondo la dottrina della Chiesa, principalmente attraverso il disarmo, le sanzioni, il cui scopo non deve essere però la sofferenza delle popolazioni, e la non violenza, i cui esempi più efficaci, Gandhi in primis, si trovano fuori dal cristianesimo.

Infine, spiega don Aristide, la dottrina della Chiesa si spinge oltre le alternative alla guerra, ponendosi il problema di come eliminarne le cause. Si arriva così al concetto di “sviluppo integrale”, teorizzato da papa Paolo VI, che afferma che oggi “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Un concetto ripreso da papa Francesco che parla della necessità di “un’etica globale di solidarietà e cooperazione”.

Un problema aperto per le coscienze

Il problema che rimane aperto, o che si apre ancor di più, dopo le spiegazioni di don Aristide, riguarda però il come fare in concreto, come applicare questi criteri alle situazioni particolari, in primis alla questione ucraina. I cristiani devono essere a favore o contro l’invio delle armi agli ucraini aggrediti? Come devono rispondere all’appello di papa Francesco ad essere “artigiani della pace”?

La questione è sollevata da diversi interventi del pubblico in sala. In molti si dicono ‘smarriti’ di fronte alla complessità delineata da don Aristide, una complessità in cui siamo tutti chiamati a prendere una posizione etica.

In tempi dove “il buon grano della pace convive con la zizzania della guerra”, don Aristide richiama l’appello rivolto da papa Giovanni XXIII ai cristiani: ricercare “l’unità nelle cose necessarie, la libertà in quelle dubbie, la carità in tutte“. Come a dire che i cristiani devono essere uniti nel contrastare la guerra, ma possono essere liberi di avere un discernimento diverso a proposito delle guerre in corso. La comunità deve però rispettare le opinioni di tutti e guardare con “carità” alle tragedie del nostro tempo.

La proposta del teologo di fronte a questa complessità, che appare a tratti indistricabile, è dunque quella del rispetto delle scelte di tutti, purché siano prese secondo coscienza, avendo sempre un’attenzione particolare al punto di vista di chi subisce la guerra.

Difficile indicare una via che sia giusta per tutti, quando sia il pacifismo a tutti i costi sia la difesa armata della libertà possono avere degli effetti distruttivi sulla vita e la libertà degli altri: “Nel momento in cui la mia scelta coinvolge altri, non posso prescindere dal loro consenso libero”, dice don Aristide. “Da qui non si esce con le mani pulite. Ognuno dovrà farsi carico degli effetti collaterali della propria scelta, sia essa quella di imbracciare il fucile o quella di non imbracciarlo”.

Da sinistra: don Aristide Fumagalli e don Augusto Panzeri

Se i momenti di crisi sono quelli che mettono alla prova la fede, don Augusto Panzeri, in conclusione della serata, individua per i cristiani il compito di assumere su di sé il lavoro “difficile ma necessario” della mediazione.

Anche da qui bisogna passare per raggiungere quell’obiettivo indicato dallo stesso don Augusto in apertura di questo ciclo di incontri: cercare di costruire un pensiero comune sulla pace, o perlomeno un atteggiamento, un ‘noi’ che sia sentito tale da tutta la comunità dei cristiani. Una sfida che sicuramente ha avuto il merito di coinvolgere e stimolare i membri della comunità, come hanno dimostrato i numerosi interventi del pubblico durante il primo incontro. Il prossimo appuntamento è in programma lunedì 27 marzo sempre alle 21: il titolo sarà “Maledetti pacifisti. Dov’è finito il movimento pacifista” e avrà come relatore il giornalista Nico Piro.

 

image_pdfVersione stampabile