Partire dal presente sia per raccontare il passato sia per spiegare come gli artisti contemporanei affrontino il rapporto con il trascendente. “Rendere visibile l’invisibile” aldilà dell’iconologia più diffusa. Racconta questo il nuovo libro di Demetrio Paparoni: “Cristo e l’impronta dell’arte. Il divino e la sua rappresentazione nell’arte di ieri e di oggi” (Skira , 28 euro). In copertina, l’opera del cinese Yue Minjun “Deposition from the Cross “, del 2009. Minjun , per intenderci, è il pittore figurativo che rappresenta i suoi simili sempre con il sorriso sulle labbra .
Yue Minjun si ispira al capolavoro di Rosso Fiorentino, “Deposizione dalla Croce”, opera del 1521.Dalla tela elimina tutte le figure umane e mantiene la croce e le due scale. Un’assenza rispettosa che esclude tutta la drammaticità proposta da Rosso Fiorentino, mantenendo però la croce e gli altri oggetti.
Scrive Paparoni:” L’attenzione di Yue Minjun non è rivolta solo al mondo cinese: occupandosi dell’uomo in quanto tale ne trascende la cultura d’appartenenza. Svuotare della presenza umana i capolavori della storia dell’arte occidentale e cinese è lo stratagemma che gli ha consentito di mettere in evidenza il senso di perdita di valori umani e culturali e lo spaesamento che ne consegue.”
Un testo, questo di Paparoni, che aiuta a comprendere quanto l’arte contemporanea non solo attinga dal passato, ma anche quando non è esplicitato, faccia riferimento all’iconologia cristiana che ha alimentato per secoli la produzione artistica.
Può apparire una banalità.Tutti noi, dunque anche i pittori del presente, siamo espressione della storia, quella con la “S” maiuscola oltreché con la minuscola, la nostra storia personale e familiare. “Cristo e l’impronta dell’arte” offre una guida, un’interpretazione sul lavoro di pittori contemporanei e moderni.
Per secoli, gli artisti da Giotto a Manet, passando da Masaccio, Bellini,Caravaggio, Rubens, Rembrandt … un elenco lunghissimo di maestri, hanno superato sempre i limiti posti dalla teologia: la rappresentazione di Cristo ha quasi sempre coinciso con una sfida personale.
Fino al XIX secolo, l’arte aveva come obiettivo quello di mostrare immagini vere “come una finestra sul mondo “, suggerisce Paparoni. E in questo senso diventava importantissima, soprattutto a partire dal XVII secolo, la scelta dalla fonte luminosa,della luce in senso letterale e spirituale, la luce divina. “Una luce filtrata dalla mente”.
Se nel passato, Piero della Francesca , Beato Angelico, lo stesso Giotto ” decostruiscono il paesaggio e le figure per poi ricostruirle attraverso un processo mentale”, a partire dal 1600, la luce assume altre caratteristiche.
Una ricerca che si fermerà definitivamente con i Cubisti, Picasso e Braque i nomi più noti, che rinunceranno definitivamente al concetto di verosimiglianza. A prescindere dalla fede personale.
E’ illuminante per esempio, quando Demetrio Paparoni illustra Chagall nella “Crocifissione Bianca” . Gesù, vestito non con il perizoma, ma con il tallit, il manto di preghiera ebraico, diventa l’emblema della sofferenza collettiva di un popolo, e dell’artista di Vitebsk in particolare.
Oggi, pittori e scultori tendono ad appropriarsi delle immagini dell’iconologia cristiana come Yue Minjun , ma anche come aveva fatto Andy Warhol piuttosto che Francesco Clemente, l’artista della Transavanguardia. Warhol più di altri, frequentatore da bambino della chiesta orientale di Pittsburg dove era nato, ha sfruttato il concetto di icona religiosa più di altri trasferendolo , molto abilmente, ai nuovi idoli della società dei consumi.
Daniela Annaro