di Camilla Mantegazza
Un diario oggetto di scherno, inizialmente. Esattamente, nessuno pensava che quella donna, dalle umili origini, debole per lunghe malattie e colma di pensieri potesse avere la forza e la costanza di usare la penna come impronta su pagine infinite, depositi di pensieri.
Anna Biffi, con musica e parole, ricorda la madre, attraverso le pagine di quel diario, fertile grembo di pensieri e riflessioni che forse nessuno si aspettava, che commuovono, che ridanno valore alla scrittura, quella spontanea e genuina ma pur sempre ricca di intuizioni, anche retoriche, per nulla primitive. Enzo Biffi, invece, accompagna i diari con le sue canzoni, costruite anch’esse sui ricordi e su quel loro ” caldo parlare in eterno”.
“Sarebbe stato meglio generare un fiore, con il suo profumo ti avrebbe fatto sognare.
Sarebbe stato meglio generare un albero, con la sua ombra ti avrebbe dato riposo.
Sarebbe stato meglio generare un frutto, nell’arsura ti avrebbe dissetato.
Sarebbe stato meglio generare un uccello, ti avrebbe rallegrato con il suo canto.
Sarebbe stato meglio generare il vento, ti avrebbe colmato di carezze.
Invece sei sola, ad ascoltare il tuo pianto, sei sola ad asciugarti le lacrime amare.
È triste generare un uomo, quando all’uomo non sai insegnare ad amare.
Una madre.
Va beh, non fateci caso. Mi è già passata“.
Così, si arriva a cogliere tenacia, dinnanzi ad una malattia che piega un corpo stanco e consumato ma che non riesce a logorare testa e cuore di una donna, che deve continuare ad essere moglie, mamma e nonna per volontà, e non per senso del dovere, attaccata “ad una macchinetta” senza “perdere la speranza nella vita”. Si percepisce sensibilità ormai rara, nella percezioni di notti, nevi e albe che riescono, nella loro quotidianità e monotonia, ad incantare ogni volta, ancora una volta. Si intuisce la poesia, si mette a nudo la Verità, quando la voce di Anna ricorda che “nella vita di giusto non c’è niente se la morte colpisce il fiore per lasciare il ramo secco”. Si trasmette solitudine, mitigata dalla voci di ragazzi che in strada vivono la notte, nel fiore della loro giovinezza. Si contrappone alla solitudine la gioia, data dalle piccole cose, dai figli, dai nipoti e da tutto il bene che da una vita se si vuole, si può trarre. Si raggiunge la fine, siglata da una buonanotte, dopo la quale non c’è più scrittura, non c’è più vita: ma un ricordo, intramontabile.
“Abito giusto e si riparte”
Video di Paolo Terraneo