di Alfredo Somoza
Tra gli Stati BRICS, l’India è quello che ancora deve affrontare le più grandi sfide sociali ed economiche. Un Paese-continente con un’impressionante biodiversità culturale. Un Paese spaccato in almeno tre mondi: quello rurale, quello delle grandi ricchezze e quello della modernità. L’unica potenza globale refrattaria all’ondata di globalizzazione degli anni ’90 e dei primi anni 2000 e lo Stato più agguerrito nel difendere l’economia nazionale, sempre tentata dall’autarchia.
La svolta economica introdotta dal nuovo premier Narendra Modi, che sta semplificando la spaventosa burocrazia statale e liberalizzando alcuni comparti economici, pare ora dirigersi a passi da gigante verso il più grande investimento mai effettuato da un Paese per adeguarsi alla rivoluzione digitale. Non si tratta semplicemente di tutelare e sostenere il comparto high-tech che si è sviluppato negli anni nella regione di Bangalore, bensì di lanciare la sfida tecnologica alla società nel suo complesso, quindi anche al dimenticato mondo rurale nel quale vive la maggioranza degli indiani. Il contesto è quello di un Paese per il quale la “lentezza” della crescita del PIL è ormai un ricordo. Quest’anno il prodotto interno lordo indiano dovrebbe aumentare del 6,3% e, secondo il FMI, tra due anni questa sarà l’economia a più rapida crescita del mondo.
Il piano Digital India del premier Modi prevede di offrire infrastrutture digitali a tutti, come servizio di pubblica utilità. Si prevedono infatti interventi per 18 miliardi di dollari USA per portare la fibra ottica in 250.000 villaggi e l’attivazione di reti di wi-fi pubblico nelle grandi città. Gli smartphone, attualmente posseduti da una minoranza di indiani, circa 60 milioni, si pensa potranno diventare 800 milioni nel 2025: cioè praticamente due a famiglia. Un’iniziativa che si potenzia con il piano Smart Cities, finalizzato a fornire soluzioni tecnologiche d’avanguardia alle prime 100 città del Paese.
Non solo internet, ovviamente. Si prevede anche un investimento massiccio sull’energia rinnovabile, con una produzione che dagli attuali 1,7 gigawatt dovrebbe passare a 43 gigawatt nel 2025. Lo stesso con il gas da fonti non convenzionali: dagli attuali 283 milioni di metri cubi all’anno tra dieci anni si arriverà a 6,7 miliardi. Sarebbe un grande sollievo per l’India, oggi terzo compratore mondiale di energia, che ha il 17% della popolazione mondiale ma possiede solo lo 0,6% delle riserve planetarie di greggio.
L’altra faccia di questa grande scommessa, che la celebre agenzia di consulenza aziendale McKinsey considera una vera e propria rivoluzione, è la fine della moratoria della ricerca nel campo degli OGM per migliorare la resa agricola. Il Paese della rivoluzione verde, quel mix di tecnologia, pesticidi e sementi ibride che negli anni ’60 cambiarono la faccia dell’agricoltura indiana, ora rischia di vedere scomparire progressivamente la biodiversità della produzione agricola in nome della sicurezza alimentare.
Sono queste le luci e le ombre di un piano di sviluppo di portata storica per l’India. La strategia di base è già stata corroborata da successi in altri luoghi, per esempio in Africa. La rivoluzione digitale, infatti, è in grado di fare saltare ai Paesi emergenti alcune tappe della strada a suo tempo percorsa dagli Stati industrializzati occidentali: tappe che fino a pochi anni fa sembravano obbligatore per raggiungere un alto livello di sviluppo. La tecnologia, insomma, offre scorciatoie che si sposano perfettamente con le esigenze dei Paesi oggi in bilico tra “primo” e “terzo mondo”. Così come i satelliti utilizzati per le telecomunicazioni hanno portato internet nel cuore dell’Amazzonia brasiliana, senza dovere piantare un solo palo nel terreno, anche l’India vuole ora colmare il divario collegando i villaggi rurali del “Paese profondo” con il resto del mondo.
Difficile prevedere se l’India, come già ha fatto la Cina, riuscirà davvero a ridimensionare la povertà quasi ancestrale della sua popolazione e, al tempo stesso, a tenere coeso un Paese dalle proporzioni continentali. Ma è proprio questa la sfida, tra mille contraddizioni e in un clima molto più turbolento rispetto a quello cinese: è la differenza che passa tra un regime autoritario e una democrazia, per quanto imperfetta.
L’India “inventata” e saccheggiata dagli inglesi, l’India autarchica e diffidente nei confronti del resto del mondo oggi comincia a mettersi in marcia, ponendosi obiettivi che soltanto i Paesi con il futuro davanti a sé possono immaginare.