Don Puglisi: un parroco troppo scomodo

Don PuglisiPer esistere Cosa Nostra ha bisogno della paura e del consenso. Sull’una e sull’altro lavorava il parroco di San Gaetano che, dei molti modi di “fare l’antimafia”, [. . .] aveva scelto il più arduo, il meno appariscente e forse l’unico utile: capire (tratto da A testa alta di Stefania Stancanelli – ed. Einaudi).

Probabilmente era anche il suo unico potere: capire per poi agire. E lui aveva capito. Ed era diventata la sua missione a Brancaccio, un quartiere dove al disagio sociale, economico e culturale si aggiungono la disoccupazione, il lavoro nero e la conseguente evasione scolastica.

In quel rione dove era nato, e in cui era tornato dopo tanti anni, cercava, con grande determinazione e coraggio, di prendere quei bambini che padri e madri abbandonavano per le strade del quartiere -incubo alle porte di Palermo, e di sottrarli al reclutamento della mafia.

All’inizio del 1993 aveva inaugurato, superando mille ostacoli, il centro “Padre Nostro”, che diventerà il punto di riferimento per i giovani e le famiglie. Don Puglisi voleva anche una scuola media, un centro sportivo, un ambulatorio medico, perché aveva capito che se un bambino nasce in un quartiere come Brancaccio, la sola prospettiva che ha è quella diventare mafioso. A distanza di ventidue anni dalla sua barbara uccisione, è sorta  la scuola media, inaugurata nel 2000 e nel 2014 un centro per bambini negli ex magazzini di via Hazon. Piccoli passi, sogni che cominciano ad avverarsi.mafia-4-2

Chi ha conosciuto Don Pino Puglisi e ha condiviso il suo progetto, racconta di lui come di un uomo libero, incorruttibile, rigoroso, pieno di vita, di sogni, di domande. Un uomo capace di dare avvio ad una piccola rivoluzione, una rivoluzione che Cosa Nostra ha intuito e che ha immediatamente fermato.

E’ bastato un solo colpo nel giorno del suo 56° compleanno. “Me l’aspettavo” sono state le sue ultime parole e a riportarle è stato proprio il suo assassino, Salvatore Grigoli, oggi collaboratore di giustizia. E’ stato ucciso dallo stesso clan mafioso che aveva organizzato gli omicidi di Falcone e Borsellino, oltre agli attentati di Roma, Firenze e Milano.

Un caso di inquietante solitudine. Un eroe mite che va incontro al suo destino con la consapevolezza che, come disse Giovanni Paolo IIIl credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella rivelazione, non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita”.

Daniela Zanuso

image_pdfVersione stampabile