di Daniela Annaro
“Anima generosa e forte Fernanda Wittgens, dopo le distruzioni della guerra, dedicò se stessa al risorgere della città, della cultura della Pinacoteca di Brera attuando nell’antico istituto il moderno concetto del museo vivente”. Tommaso Gallarati Scotti
Così si legge sulla lapide commemorativa, i cui caratteri furono disegnati da Giacomo Manzù, lapide collocata in Pinacoteca il 16 dicembre 1963. Fernanda è mancata sei anni prima, nel luglio del 1957. E con queste parole si apre il testo di Giovanna Ginex, storica dell’arte, dedicato alla figura di questa straordinaria studiosa. “Sono Fernanda Wittgens.” Una vita per Brera è il titolo del volume, edito da SKIRA.
Fernanda ( Milano 1903-1957), storica e critica d’arte, nel 1940 è la prima direttrice di un’istituzione museale in Italia. A Brera entra come “operaia avventizia” nel 1928 lavorando, però, come ispettrice di funzioni amministrative già pochi anni dopo la laurea con lode sotto la guida di Paolo d’Ancona. Cresce in una famiglia di origini austro-ungariche, ricca di ideali democratici e risorgimentali: il padre, professore di lettere al liceo Parini, educa i figli al rispetto dello Stato. Una lezione di vita che Fernanda non dimenticherà mai. A quel tempo, la Pinacoteca era diretta da Ettore Modigliani e Fernanda diviene presto il suo insostituibile braccio destro.
Nel 1935 per attività antifasciste, Modigliani è spedito al confino all’Aquila e dopo l’emanazione delle leggi razziali è espulso definitivamente dall’amministrazione statale. Fernanda Wittgens è antifascista: con l’aiuto del cugino Gianni Mattioli, si adopera per aiutare amici ebrei perseguitati dal regime a espatriare in Svizzera. Nel luglio del 1944 è arrestata e condannata a quattro anni di prigione, trasferita prima a Como e poi a San Vittore. Con un falso certificato medico, però, i familiari riescono a liberarla dopo sette mesi, trasferendola in ospedale.
Ma fino a poche ore prima dell’arresto, Fernanda si è adoperata per proteggere l’intero patrimonio artistico di Milano e sottrarlo alla razzia nazista. Le opere della Pinacoteca, del Poldi Pezzoli, della Quadreria della Ca’ Granda, solo per citare le più note raccolte ambrosiane, sono salve grazie all’impegno personale della Wittgens. Mesi e anni tragici che mettono in luce la profondità d’animo di Fernanda che dal carcere così scrive alla madre:
Quando crolla una civiltà e l’uomo diventa belva, chi ha il compito di difendere gli ideali della civiltà, di continuare ad affermare che gli uomini sono fratelli, anche se per questo dovrà …pagare? Almeno i così detti intellettuali, cioè coloro che hanno sempre dichiarato di servire le idee e non i bassi interessi, e come tali hanno insegnato ai giovani, hanno scritto, si sono elevati dalle file comuni degli uomini. Sarebbe troppo bello essere intellettuale in tempi pacifici, e diventare codardi, o anche semplicemente neutri, quando c’é un pericolo. L’errore delle mie sorelle e tuo è di credere che io sia trascinata dal buon cuore o dalla pietà ad aiutare, senza sapere il rischio. È invece un proposito fermo che risponde a tutto il mio modo di vivere: io non posso fare diversamente perché ho un cervello che ragiona così, un cuore che sente così.”
Una lettera che aiuta a comprendere l’impegno etico, la passione civile di Fernanda, donna volitiva ed energica disposta a spendersi sempre in prima persona. Farà così per far rinascere Brera, quasi totalmente distrutta, per cercare i finanziamenti, per aver il migliore architetto sulla piazza, Piero Portaluppi.
E ci riesce alla grande: nel giugno del 1950 la Pinacoteca ricostruita viene inaugurata alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione Guido Gonella. Ha contato su se stessa e su una decina di persone fra funzionari e custodi: una Walkiria l’ha definita Antonio Greppi, primo sindaco di Milano liberata.
Fernanda apre Brera alla città: ai bambini, agli insegnanti, ai disabili, agli operai, agli impiegati, agli artigiani. Organizza corsi di storia dell’arte, aperture domenicale e serali delle sale, convinta che proteggere il patrimonio artistico sia condivisione collettiva e autentica conoscenza, senza snobberie di nessun tipo. Un’antesignana. Nell’ aprile del 1956, la sua iniziativa Fiori a Brera con sfilate di moda e concerti è seguita da migliaia di persone, solo il primo giorno si staccano 20mila biglietti.
E sempre a lei, Milano deve l’acquisizione della Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti, grazie alla sua iniziativa di sottoscrizione popolare; il restauro del Cenacolo che aveva subito pesanti offese durante i bombardamenti; la valorizzazione del patrimonio artistico lombardo con mostre organizzate in Europa e in America, la diffusione e conoscenza dell’arte italiana del Novecento.
Fernanda Wittgens si ammala gravemente nella primavera del 1956. Fino all’ultimo, nonostante le acute sofferenze che le provoca la malattia, lavora in Brera per l’apertura di una grande mostra sulla pittura lombarda e l’apertura del laboratorio di restauro. Muore all’alba dell’11 luglio 1957. Riposa al Cimitero Monumentale di Milano come tanti illustri milanesi.