di Virginia Villa
Una fuga pericolosa. Un viaggio epico. La vera storia di tre bambine che camminarono 1500 miglia per tornare alle proprie famiglie.
La scusa di un futuro migliore
Ci sono fatti ed avvenimenti che, per la natura crudele e disumana che li caratterizza, siamo portati a pensare che siano successi centinaia di anni fa o che, se riguardano un periodo a noi più vicino, siano azioni compiute da tiranni e dittatori. Invece ci sono eccezioni che smontano le nostre credenze e ci mostrano una realtà drammaticamente diversa. E’ questo il caso delle persecuzioni avvenute a danno degli aborigeni australiani nel corso della storia. Il governo australiano attuò una politica scellerata volta a eliminare la forza aborigena facendo leva sui più piccoli, i bambini.
Per tutto il 1900 la storia dell’Australia assistette a sistematici rapimenti di bambini aborigeni da parte dei bianchi. La giustificazione principale era quella di dar loro un futuro migliore, una vita ed una educazione che non avrebbero potuto avere se fossero rimasti con i propri genitori. La verità, però, era un’altra. La politica, che mirava a “educare” gli aborigeni assorbendo nella società bianca i bambini di razza mista, fu portata avanti dai primi del secolo scorso sino al 1972. Sostenuta da leggi in ogni stato, fu applicata con maggior fervore nell’Australia Occidentale, dove un amministratore di origine britannica, Auber Octavius Neville, fondò “insediamenti di nativi” in cui i bambini venivano incarcerati in condizioni crudeli e addestrati come lavoranti nelle fattorie o come servitori. In poche parole, l’obiettivo a lungo termine del governo era quello di portare la razza aborigena all’estinzione. E’ questa la sorte che toccò a Molly Kelly, 14 anni, e alle sue due cuginette Gracie Fields, 11 anni, and Daisy Kadibil, 8 anni.
La storia di tre bambine coraggiose
Molly, Gracie e Daisy furono rapite da Jigalong, una lontana cittadina in mezzo al deserto di Gibson e deportate all’insediamento per indigeni di Moore River, a nord di Perth, nel 1931. Jigalong era un deposito di manutenzione del Rabbit-Proof Fence (recinto anti-conigli), che era stato costruito per l’intera lunghezza del territorio dell’Australia Occidentale, da nord a sud, per proteggere le coltivazioni dalla piaga dei conigli.
Molly Kelly, sentendosi responsabile della vita delle due cuginette più piccole, non si perse d’animo e iniziò fin dal primo giorno della sua prigionia ad organizzare la loro fuga. Una sera, complice un grande temporale invernale, Molly capì che era il momento di agire perché l’acqua, che cadeva a catinelle dal cielo, avrebbe coperto le loro tracce.
Molly conosceva la Rabbit-Proof Fence e sapeva che se l’avessero percorsa a ritroso sarebbero riuscite a tornare a casa dalle proprie famiglie. Iniziò così un lungo viaggio a piedi, lungo 1500 miglia, che durò due mesi.
La caccia alle bambine
Fin dal primo momento della fuga delle tre ragazzine, le autorità organizzarono gruppi di ricerca arrivando ad arruolare anche mercenari aborigeni. La caccia alle tre giovani cugine proseguì senza sosta e vi si unì anche Auber Octavius Neville, nominato nel 1915 Protettore Capo degli aborigeni in Australia Occidentale, avendo così controllo legale su tutti gli aborigeni dello Stato. Molly, Gracie e Daisy lungo il loro viaggio incontrarono l’aiuto di alcuni lavoratori aborigeni e bianchi rurali, i quali offrirono alle tre bambine un po’ di cibo. Per il resto del viaggio, si procacciano il cibo da sole, dormendo di giorno e marciando di notte per non essere viste. Un giorno, però, vennero scoperte dall’esercito di Neville; Molly e Daisy riuscirono a scappare e tornare a casa, ma per Gracie non ci fu scampo, venne catturata e riportata a Moore River dove morì nel 1983.
La storia si ripete
Il ritorno delle due ragazzine a Jigalong non segnò la fine della storia, destinata ad avere un epilogo ancora più drammatico. Molly, infatti, continuò a subire le violenze del governo in quanto, anni dopo il suo ritorno a casa, fu riportata a Moore River, questa volta con le sue due bambine, Doris di quattro anni e Annabelle di diciotto mesi. Fuggì ancora e camminò nuovamente fino a casa per 1500 miglia, con Annabelle in braccio, mentre fu costretta ad abbandonare Doris. Cinque anni dopo venne separata nuovamente dall’unica figlia che riuscì a salvare e non la rivide mai più. Il destino, però, aveva altri piani per Doris e la madre, infatti le due riuscirono a ricongiungersi trent’anni dopo.
Dal libro al film
La figlia più grande di Molly, Doris, ha voluto lasciare una testimonianza scritta di quello che è successo alla sua famiglia e al suo popolo e lo ha fatto scrivendo il libro “Follow the Rabbit-Proof Fence” nel 1996 e da queste pagine il regista Phillip Noyce ne trasse un bellissimo film uscito nel 2002 che racconta, in modo dettagliato, il lungo viaggio verso casa delle tre ragazzine. Produttore esecutivo del film è il cineasta britannico Jeremy Thomas che ha fornito i primi finanziamenti. Il film ha smosso diverse controversie in Australia, dove la conseguenza delle Stolen Generations era l’elemento di maggior divisione del Paese. Stime attendibili suggeriscono che un bambino indigeno su tre fu sottratto a forza tra il 1910 e il 1970. Gran parte della troupe, compreso Noyce, era in lacrime durante le riprese delle scene in cui le bambine venivano rapite alle loro madri. Il regista Noyce ha effettuato due viaggi a Jingalong per incontrare Molly e Daisy, che appaiono nella scena finale del film: “Avevo bisogno di guardarle negli occhi, e domandare loro perché dovessero lasciare quel luogo.” ha detto. “Questo era un film che doveva essere fatto. Gridava di essere fatto.”