di Francesca Radaelli
Il Sudafrica dell’apartheid, razzista, ingiusto, violento, è lo sfondo dei suoi romanzi e dei suoi racconti.
È il ‘suo’ Sudafrica, quello in cui lei Nadine Gordimer, è nata – il 20 novembre 1923, a Johannesburg – da genitori bianchi di origini ebraiche, e dove è vissuta sino alla morte avvenuta nel 2014.
Un Sudafrica lacerato, e non solo dalle tensioni tangibili e visibili innescate da quella separazione imposta per legge tra bianchi e neri che per la seconda metà del Novecento ha pesato come un macigno su uno stato già di per sé composto da innumerevoli etnie. Un paese dilaniato anche dai conflitti interiori e complessi dei suoi abitanti, ciascuno in cerca, in fondo, della propria identità, di quell’identità che forse è ancor di più difficile da costruire in uno stato attraversato dalle inuguaglianze imposte per legge dal regime dell’apartheid.
Complessi e sfaccettati sono i personaggi a cui la scrittrice, insignita del premio Nobel per la letteratura nel 1991, dà vita e voce nei suoi romanzi e nei suoi numerosi racconti. Dal ‘Conservatore’ Mehring, capitalista insoddisfatto che si trova faccia faccia con la vita dei contadini neri della sua fattoria, alla Liz de ‘Il mondo tardo borghese’, che apre gli occhi sulle ingiustizie dell’apartheid dopo la morte del marito, sino all’ex funzionario coloniale Bray e alla storia d’amore che lo vede protagonista ne ‘Un ospite d’onore’.
Ma la vita di Nadine Gordimer non è fatta solo di racconti e romanzi capaci di emozionare e commuovere. Perché Nadine Gordimer è una donna minuta, elegante e gentile, che sposa un commerciante d’arte ma che non si sottrae dal prendere parte alla vita del proprio paese. Una donna che combatte in prima persona, che prende posizione, che si schiera apertamente al fianco di Nelson Mandela negli anni in cui l’African National Congress è fuori legge e il suo fondatore è rinchiuso in carcere. Nel 1994, dopo la liberazione di Madiba, è nella casa della scrittrice, a Johannesburg, che avvengono gli incontri, decisivi per il nuovo corso del suo paese, tra lo stesso Mandela e Frederik De Klerk, il bianco che traghetta il Sudafrica fuori dall’apartheid.
Ma la battaglia contro le ingiustizie di questa ‘africana bianca’ dalla personalità sorprendente non finisce con la fine dell’apartheid, così come con la fine della segregazione razziale non hanno certo termine le ingiustizie: “Non posso condannare solo l’apartheid quando l’ingiustizia umana è ovunque”, dice un giorno. E scrive articoli pubblicati sulle riviste internazionali in cui stigmatizza le storture che colpiscono l’umanità in ogni paese del mondo, ma con sempre un’attenzione particolare alla sua Africa, dove – denuncia nei suoi scritti – imperversa un’altra piaga terribile, quella dell’Aids. Negli ultimi anni si scaglia severamente contro la corruzione e l’ingiustizia sociale che, anche dopo la fine dell’apartheid, permangono nei luoghi della sua vita e dei suoi romanzi, denunciando apertamente i membri del governo post Mandela.
Una donna delicata e coraggiosa, insomma. Minuta e fragile. Ma ferma e decisa nelle sue battaglie.
Una grande scrittrice. Una grandissima donna.