Donne, che storia! Shirin Ebadi

di Francesca Radaelli

“Il regime reagisce alle proteste sempre allo stesso modo. A fare la differenza oggi è la popolazione, che è arrivata al limite di sopportazione massimo”.

Con queste parole Shirin Ebadi, prima donna magistrato in Iran e premio Nobel per la Pace nel 2003, ha commentato le proteste che stanno infiammando l’Iran in queste settimane.

A questa piccola (di statura) grande donna, e al suo Paese, dedichiamo il post di oggi.

Da sempre convinta che in Iran “saranno le donne a cambiare l’islam”, Shirin Ebadi ha dedicato tutta la vita a dimostrarlo, studiando Legge e diventando giudice, senza mai smettere di praticare la propria religione. E oggi, a 75 anni, potrebbe vedere avverarsi la sua profezia.

Shirin Ebadi nasce 1947 ad Hamadam, in una famiglia iraniana ‘illuminata’, in cui figli maschi e figlie femmine erano trattati nello stesso modo dai genitori. Lo racconta nel libro autobiografico ‘Il mio Iran’ in cui ripercorrere la storia della sua vita, inevitabilmente intrecciata alla storia del suo Paese: “Durante la maggior parte dei miei anni da fanciulla non mi accorsi che il mio ambiente familiare era speciale. Non mi colpiva il fatto che i miei genitori non trattassero mio fratello in modo diverso dalle sorelle”. Nel resto dell’Iran invece i figli maschi godevano di uno status speciale, in quanto “depositari delle future ambizioni della famiglia”.

“Solo quando fui molto più grande capii che l’idea dell’uguaglianza tra i sessi si era impressa dentro di me in primo luogo grazie all’esempio avuto a casa. Vidi come la mia educazione mi avesse risparmiato la scarsa autostima e la dipendenza acquisita dalle altre donne, cresciute in famiglie più tradizionali”.

E così nel 1969 Shirin si laurea in Legge e diventa la prima donna giudice in Iran. Nel 1979 sale al potere Khomeini: inizialmente la fine del regime filoamericano dello scià sembra aprire una nuova epoca: “Quel giorno mi sentii invadere da un sentimento di orgoglio che adesso, con il senno di poi, mi fa sentire ridicola. Pensavo di aver vinto anch’io quella rivoluzione”. Come lo pensava quasi tutto il popolo iraniano.

Invece per l’Iran inizia un’epoca di profondo oscurantismo: Shirin Ebadi viene destituita dalla posizione di giudice e vengono emanate quelle “cupe leggi contro le quali avrei combattuto per il resto della mia vita”. Leggi in base a cui la donna conta come la metà di un uomo, in caso di testimonianze in tribunale e risarcimenti, e per divorziare deve chiedere il permesso al marito. “In breve, le nuove norme mettevano indietro l’orologio di millequattrocento anni, tornando agli albori della diffusione dell’Islam, quando lapidare le donne per l’adulterio e mozzare le mani ai ladri erano considerate condanne adeguate”.
Da esperta in diritto, la sua missione da quel momento in poi diventa quella di formulare proposte di legge che, pur nel rispetto per l’islam, garantissero rispetto e diritti alle donne, contestando soprattutto le interpretazioni dell’Islam costruite ad hoc per colpire il genere femminile. Da avvocato, decide di dedicare la vita alla difesa dei diritti umani nel suo paese. Durante il regime di Khomeini subisce innumerevoli minacce e arresti.

Alla morte dell’ayatollah può riprendere per un periodo a svolgere la sua professione e a lottare per i diritti delle donne, consapevole che la possibilità di istruirsi possa porre le basi di un cambiamento futuro. “Il privilegio di una laurea”, racconta, “non eliminò la discriminazione sessuale, ma instillò nelle donne iraniane qualcosa che, nel tempo, penso, trasformerà il nostro Paese: una consapevolezza viscerale della loro condizione di oppresse”. Nel 1992, riceve l’autorizzazione ad esercitare la professione di avvocato; inizia così la sua attività in difesa dei diritti umani di tutti coloro che hanno subito violenza o ingiustizie, tra cui i numerosi prigionieri politici del regime.

E poi nel 2003 arriva il Nobel per la Pace: è la prima donna iraniana e la prima musulmana a riceverlo. “Dal giorno in cui ero stata privata dalla possibilità di essere giudice”, dichiara, “agli anni in cui avevo lottato nei tribunali rivoluzionari di Teheran, mi ero sempre ripetuta un ritornello: una interpretazione dell’islam che sia in armonia con l’uguaglianza e la democrazia è un’autentica espressione di fede. Non è la religione a vincolare le donne, ma i precetti selettivi di chi le vuole costrette all’isolamento”.


Oppositrice del regime, dopo diversi arresti, oggi Shirin è costretta a vivere in esilio, ma anche fuori dai tribunali iraniani, fisicamente lontana dalle piazze infuocate del suo paese, continua, anche oggi, a far sentire la sua voce.

Donna, vita, libertà” è lo slogan delle proteste di questi giorni. Giorni in cui sembra che davvero a trasformazione dell’Iran possa partire dalle donne e coinvolgere tutto il Paese.

Giorni in cui il sogno di Shirin Ebadi sta cercando di diventare realtà.

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