Donne, che storia! Solange LusikuNsimire

di Veronica Todaro

“Credo molto in Dio e confido nella sua protezione”. Sono le ultime parole che Solange LusikuNsimire mi ha detto salutandomi a Milano, poche ore prima di incontrare il cardinale Angelo Scola che ha voluto esprimerle la solidarietà e l’apprezzamento per l’importanza di quello che portava avanti  in Italia per ricevere il riconoscimento assegnatole dalla Fondazione Unicredit nell’ambito del premio “Ilaria Alpi”.

Personaggio “scomodo”, non solo nel suo Paese, da cui denunciava le atrocità della “pulizia etnica”, Solange LusikuNsimire, si è spenta nell’ottobre del 2018 per una malattia che non le ha dato scampo.

Lei, giornalista, direttore ed editrice di “Le Souverain”, unica pubblicazione di Bukavu, capitale della provincia del Sud Kivu, regione congolese al confine con il Rwanda e il Burundi, ha combattuto fino all’ultimo per la libertà.

Il suo curriculum è un lungo elenco di titoli: Presidente dell’Unione Nazionale della Stampa, sezione di Bukavu/Sud Kivu, Vicepresidente dell’Unione Nazionale della Stampa della Repubblica Democratica del Congo, Laurea honoris causa all’Università di Lovanio in Belgio, premio “Femme de Courage 2013” dell’Ambasciata Usa a Kinshasa, membro del Consiglio di amministrazione dell’Università Cattolica di Bukabu.

Eppure, nonostante le posizioni ricoperte, Solange, mamma di sette ragazzi, è sempre stata nell’occhio del mirino, abituata a convivere con paura e minacce per il suo lavoro.

Solange non si è mai data per vinta e per difendere la libertà di stampa ha continuato a stampare il suo giornale, mettendo a rischio la sua vita arrivando fino a Bujumbura, capitale del Burundi perché in tutta la regione non esiste una tipografia, minacciata di morte prima da esponenti del governo locale e con lettere e telefonate anonime giunte nella sua abitazione.

Quando le abbiamo chiesto quale fosse la sua aspettativa di vita la risposta è stata “un giorno rinnovabile”, ringraziando Dio ogni mattina per averle concesso un altro giorno di vita.

Nel Sud Kivu – spiegava la giornalista africana – ci sono per la stampa due tipi di problemi: la proprietà dei media e il contesto di povertà e insicurezza che deriva dal fatto che negli ultimi anni sono stati uccisi tre giornalisti e un difensore dei diritti umani”.

La sua carriera professionale era iniziata come segretaria in un’organizzazione di sviluppo nella Repubblica democratica del Congo. In seguito alle numerose visite dei giornalisti locali in cerca di informazioni sulla condizione delle donne nella Provincia, Solange decide di creare una sua radio, “Radio Maendeleo”, per poi arrivare a dar vita anche a “Radio Maria”, fino ad approdare negli uffici dell’Arcidiocesi di Bukavu, come portavoce dell’arcivescovo François Xavier Maroy. Da lì il passo nel 2007 alla direzione del mensile creato nel 1992 da Emmanuel BarhayigaShafali.

Il Congo è diventato terreno di guerra – raccontava davanti ai giornalisti milanesi – ma le donne sono campo di battaglia, sono violentate, ci sono state donne incinta che sono state sventrate, vengono violentate davanti a mariti e figli. E ci sono anche uomini violentati. Non c’è libertà di stampa, volevo parlare ad esempio della questione dei gruppi armati. E dimostro che questi gruppi sono presenti e molti arrivano dal Rwanda. In Rwanda nessun giornalista può dire questo, in Congo ora si può, ma noi l’abbiamo detto prima”. E ancora: “Potremo fare informazione indipendente – concludeva Solange che nel sottotitolo del suo giornale riportava la frase “La libertà di stampa? Un diritto non un regalo dei politici” – se e solo se avremo la possibilità di stampare a Bukavu”.

“La liberta di stampa è una vera e propria lotta di sopravvivenza che combatto affermando la verità anche scrivendo nella clandestinità. Io trovo la forza di resistere e di continuare un lavoro in cui credo. E poi credo molto in Dio e confido nella sua protezione. Essere reporter nell’Est del Congo, è molto pericoloso però se tutti ci piegassimo alla violenza, che futuro lasceremmo alle generazioni dopo di noi? I giornalisti non corrotti vengono uccisi. Ma io resto – raccontava -. Questa è la terra che ci è stata donata. Qui abbiamo seppellito i nostri genitori. Qui ci sono ricchezze immense. Troveremo una via di pace”.

E il suo ultimo appello: “Io non ho nulla da insegnare alla stampa italiana, e non è vero che i giornalisti congolesi sono più coraggiosi di voi. Una cosa però chiedo all’informazione occidentale: continuate a parlare del nostro povero Paese, continuate a raccontare le nostre storie e a fare suonare l’allarme quando serve. La comunità internazionale deve essere continuamente sensibilizzata”.

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