di Daniela Zanuso
La storia di Wangari Maathai comincia in Kenya il 1 aprile 1940.
A quel tempo non era previsto che le figlie dei contadini kikuyu frequentassero la scuola. È il fratello maggiore che convince la madre affinché la sorellina più piccola lo segua alle scuole elementari. La mamma accetta nonostante le difficili condizioni economiche della famiglia e, su suggerimento degli insegnanti, decide di iscrivere la figlia alle scuole superiori. Un piccolo gesto rivoluzionario che cambierà per sempre il destino di sua figlia.
Dopo essersi diplomata con il massimo dei voti, nel 1960 le viene offerta l’occasione della vita: grazie ad una buona pratica introdotta dal governo degli USA per merito dell’allora senatore John Kennedy, Wangari è tra i 300 studenti kenioti a vincere una borsa di studio per un college americano.
Pochi anni dopo è la prima donna centroafricana a laurearsi conseguendo la laurea in biologia presso l’Università di Pittsburgh negli Stati Uniti. Conquistato il PhD in biologia e carica di entusiasmo decide di accettare l’incarico di assistente di ricerca al Dipartimento di zoologia dell’università di Nairobi. Qui, però, si scontra con la dura realtà di un paese in cui le donne non contano nulla. Scopre che il suo posto è stato assegnato ad un uomo e quando sceglie la strada dell’insegnamento, non tardano ad arrivare nuove delusioni: gli studenti maschi si rifiutano di avere un’insegnante donna.
Ma lei non si perde d’animo. Organizza la lotta delle lavoratrici dell’università per un salario uguale a quello degli uomini ed entra a far parte di numerose organizzazioni non governative tra cui l’UNEB, il programma di protezione ambientale delle Nazioni Unite. Frequenta il National Council of Woman of Kenya dove scopre che molte ragazze non trovando lavoro, tornano nei villaggi dove vivono in condizioni di estrema povertà.
Intanto la terra della sua infanzia è devastata dalla deforestazione selvaggia e dalle culture intensive di tè e caffè che minacciano l’equilibrio idrico del paese. Decide di fondare il movimento Green Belt dove le donne diventano protagoniste di una nuova rivoluzione: piantare alberi e ripopolare di verde gli altopiani.
“Abbiamo cominciato piantando alberi, presto abbiamo iniziato a piantare idee! “
Wangary comprende che la salvezza dell’ambiente e i diritti delle donne sono una cosa sola: è un’intuizione geniale di cui lei diventerà una vera paladina. Occupa terre pubbliche cedute spesso illegalmente a società straniere, campi da golf costruiti per gli amici del presidente e addirittura un parco al centro di Nairobi dove il presidente intende costruire un grattacielo e farne la sede del proprio partito.
Iniziano gli attacchi politici, le aggressioni, la violenza, gli arresti. Le immagini dei pestaggi fanno il giro del mondo e sollevano l’indignazione dell’opinione pubblica internazionale. Lo stesso Al Gore chiede la scarcerazione delle donne minacciando di sospendere gli aiuti in Kenya. Scarcerata, Wangari intraprende un braccio di ferro con il governo corrotto di Daniel Moi e il presidente ne uscirà sconfitto.
La “donna albero”, come ormai tutti la chiamano, riesce a vincere contro i potenti del suo paese.
Inizia a collezionare premi internazionali e la sua popolarità e quella del movimento Green Belt è in crescita vertiginosa.
Nel frattempo conosce e sposa Mwangi Mathai, un candidato con cui condivide gli ideali e il desiderio di migliorare le condizioni del suo paese. Ma anche il marito sarà una delusione cocente: una volta eletto Wangari scoprirà che non aveva nessuna intenzione di attuare le promesse fatte.
Si separa dal marito che in tribunale dichiarerà che lei è: “troppo istruita, troppo forte, troppo di successo, troppo testarda e troppo difficile da controllare“.
Nel 2002 Wangari Maathai si presenta alle elezioni con la Coalizione arcobaleno e viene eletta con il 98% dei voti. Diventa vice ministro dell’ambiente e nello stesso anno riceve il Premio Nobel per la Pace.
Nel 2005 è eletta presidente del Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione Africana e rappresenta il continente in assemblee internazionali. Nel 2007 perde, probabilmente per frode, le elezioni parlamentari. Nonostante il cancro, insieme alle “sorelle Nobel” fonda la Nobel Women’s Initiative per dar visibilità a quelle che come lei lottano per rendere il mondo un po’ più vivibile per tutti.
Muore a Nairobi il 25 settembre 2011 lasciandoci come sua eredità milioni di alberi piantati e la certezza che con la determinazione si possono raggiungere traguardi inaspettati.